La Corte di cassazione con ordinanza n. 27301 del 25 settembre 2023 ha espresso un importante principio di diritto: in caso di indagini sul conto corrente è il contribuente a dover dimostrare che i fondi presenti non arrivano da evasione fiscale. Ecco la vicenda.
Impresa con redditi dichiarati di 1 euro, indagini sul conto corrente
Un’impresa agricola impegnata nella coltivazione di uve per la produzione di vino per diversi anni presenta una dichiarazione dei redditi dalla quale emergeva un reddito d’impresa di 1 euro per ciascun anno d’imposta. A questo punto l’Agenzia delle Entrate inizia le verifiche e chiede all’impresa di esibire le scritture contabili e, in particolare, i registri Iva e la documentazione dei componenti positivi e negativi del reddito inerente l’attività da lei esercitata.
Contemporaneamente avvia le indagini sui conti corrente richiedendo agli istituti di credito, con i quali la contribuente operava, di comunicare notizie in merito ai rapporti intrattenuti dalla contribuente. Da tale indagine emergono numerose movimentazioni nei conti corrente. Di conseguenza il Fisco ha chiesto delucidazioni al contribuente notificando tre avvisi di accertamento relativi a ciascun anno di imposta per il quale aveva dichiarato un euro di reddito. Con gli avvisi di accertamento sono stati rettificati i redditi di impresa dichiarati e sono stati recuperati a tassazione alcuni componenti positivi che non erano stati contabilizzati.
Il contribuente naturalmente ha impugnato gli avvisi di accertamento. Le commissioni tributarie, primo e secondo grado, accolgono i rilievi del contribuente accogliendo la tesi della ricorrente secondo la quale l’impresa non era titolare di terreni sui quali avrebbe potuto svolgere l’attività economica finalizzata alla produzione di uva secondo le dimensioni presunte dall’ufficio. Inoltre hanno evidenziato che l’ufficio non aveva fornito prova della titolarità, in capo alla contribuente, di terreni idonei a produrre il reddito accertato.
Ricorso in Cassazione, sui movimenti bancari vige la presunzione legale in favore del Fisco
L’Amministrazione finanziaria ha quindi proposto ricorso in Cassazione sottolineando che non toccava ad essa provare esistenza del presupposto per la produzione del reddito, considerato che, nel caso specifico, la rettifica era stata basata su indagini finanziarie e, in particolare, sul riscontro tra i versamenti ed i prelievi che non erano stati giustificati dalla contribuente.
L’Amministrazione ha inoltre sottolineato che non fosse necessaria la titolarità di terreni sui quali svolgere la propria attività da parte dell’imprenditore infatti è plausibile che l’attività agricola possa essere esercitata su terreni detenuti a vario titolo dalla contribuente, pur spettando la proprietà a altri soggetti.
La Corte di cassazione ha accolto il ricorso sottolineando per quanto riguarda gli accertamenti bancari opera un presunzione legale a favore dell’erario e di conseguenza è il contribuente che deve fornire prova contraria attraverso “una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili”.
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