Negli ultimi giorni si sente sempre più spesso parlare di Bonus Maroni, ma di cosa si tratta e come funziona? E soprattutto: conviene avvalersene?
Cos’è il bonus Maroni?
Il Bonus Maroni nacque per la prima volta con la legge 243 del 2004, prende il nome dal suo ideatore, Roberto Maroni, recentemente scomparso, che in quella legislatura era Ministro del Lavoro. Il Bonus Maroni prevedeva la possibilità per i lavoratori di ritardare l’uscita dal mondo del lavoro, ci troviamo comunque in un periodo in cui si andava in pensione molto prima rispetto ad oggi. Allora, come oggi, l’obiettivo era risparmiare sulle spese previdenziali attraverso un incentivo al lavoratore a non lasciare l’impiego. L’incentivo era giustamente una busta paga più pesante attraverso una riduzione degli oneri previdenziali, cioè i contributi Inps a carico del lavoratore. Questi ammontano a circa il 9,19% dello stipendio lordo.
Conviene il Bonus Maroni?
C’è però una particolare penalizzazione perché, a fronte di uno stipendio più alto, di fatto non vengono più versati i contributi pensionistici al lavoratore e di conseguenza la pensione non aumenta più. Questo implica che di fatto ciò che si ha in busta paga mensilmente per il lasso di tempo che intercorre tra il momento in cui si potrebbe andare in pensione e vi si rinuncia e il periodo in cui effettivamente si va in pensione, si perde successivamente al momento del pensionamento che avviene con un assegno più leggero.
La perdita in realtà potrebbe essere più elevata, infatti tra il periodo in cui maturano i requisiti pensionistici e quello in cui effettivamente si va in pensione generalmente non intercorre molto tempo, massimo qualche anno, ma con un’aspettativa di vita alta, si perdono importi rilevanti sulla pensione per il resto della vita.
Perché oggi si parla di nuovo di Bonus Maroni?
Oggi si parla nuovamente del Bonus Maroni per un motivo semplice, infatti la manovra di bilancio prevede una nuova applicazione di questa misura. Coloro che quindi maturano i requisiti per andare in pensione con Quota 103, ma decidono di restare a lavoro, ricordiamo età minima 62 anni e almeno 41 anni di contributi, possono avere la decontribuzione Inps corrisposta quindi in busta paga. In cambio ricevono circa il 10% in più in busta paga, ma congelano la pensione futura.
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