Le pensioni sono un argomento caldissimo. Andare in pensione fino a fine 2022 è possibile con una svariata serie di misure. Ma molte di queste rischiano di scomparire a fine anno. Altri invece sono ormai strutturali nel sistema e potranno essere percepite anche nei prossimi anni. Il governo è al lavoro per il varo di quella che dovrebbe essere una riforma delle pensioni, ma che probabilmente non lo sarà. Per questo sono molti i dubbi che attanagliano i lavoratori soprattutto per quelle misure di cui in questi giorni si parla per una ipotetica proroga anche per il 2023. Nel frattempo ciò che va sottolineato è che chi può, potrebbe scegliere di andare in pensione subito in modo tale da non essere colpito da eventuali variazioni normative che potrebbero metterlo in difficoltà come è successo a chi non è riuscito a prendere la quota 100 lo scorso anno.
Le pensioni anticipate restano una possibilità, oggi come ieri e come domani
Quando si parla di pensione anticipata si parla di misure che dovrebbero consentire di anticipare il pensionamento per quanti si trovano con alcuni requisiti utili a superare l’obbligo di uscita dai 67 anni. La prima misura che è strutturale e non scadrà l’anno prossimo è la pensione anticipata ordinaria. Parliamo di quella misura destinata a lavoratori che, a prescindere dall’età, hanno raggiunto i requisiti prestabiliti per la pensione. Sembra pressoché certo che la pensione anticipata resterà con i medesimi requisiti di oggi anche nel 2023 e forse anche degli anni successivi visto il blocco degli adeguamenti dell’aspettativa di vita. Per accedere alla pensione anticipata senza limiti di età, gli uomini devono maturare un anno di contributi in più delle donne. Infatti per i primi servono 42 anni e 10 mesi di contributi versati mentre per le seconde 41 anni 10 mesi. In entrambi i casi 35 anni devono essere neutri da contribuzione figurativa relativa a periodi di disoccupazione indennizzata o di malattia. L’anno scorso la decorrenza della pensione anticipata ordinaria rispetto alla data in cui si maturano i requisiti è stata posticipata di 3 mesi. Questo in virtù dell’applicazione del sistema della finestra mobile. In altri termini una volta maturati i 42 anni 10 mesi di contributi per gli uomini 41 anni 10 mesi contributi per le donne per ottenere il primo rateo di pensione spettante, devono trascorrere tre mesi.
Per i precoci uscita con meno anni di contribuzione
Alternativa, anche se solo per una piccola platea di lavoratori, alla pensione anticipata ordinaria è la quota 41 per i precoci. La definizione stessa della misura metti in evidenza un primo nodo che quello della dell’essere precoci. Il precoce per quota 41 è colui che ha iniziato a versare contributi prima di aver compiuto i 19 anni di età. Per entrare nella misura servono 41 anni di contributi per uomini e donne ed anche in questo caso 35 di questi devono essere, come per le anticipate ordinarie, neutri da figurativi di malattia e disoccupazione. Detto questo, serve un anno di contributi versato prima del compimento dei 19 anni di età. In questo caso non c’entra niente la continuità, perché l’anno di contributi antecedenti i 19 anni di età può essere versato anche in forma discontinua. La misura però non si rivolge all’intero universo dei lavoratori dipendenti o autonomi, perché riguarda sono i caregivers, gli invalidi, i disoccupati e chi è alle prese con i lavori gravosi. Va ricordato che rispetto a una misura gemella che è l’Ape sociale che vedremo dopo, i lavori gravosi per la quota 41 sono nettamente inferiori di quelli per l’Ape sociale, che sono stati recentemente aggiornati ed ampliati. La qualità di disoccupati, invalidi o caregivers, va centrata rispettando alcuni requisiti particolari che la misura prevede.Per esempio i 3 mesi di assenza di Naspi per disoccupati, oppure il 74% di disabilità accertata sia per gli invalidi che per gli invalidi a cui presta servizio il caregiver.
Pensione di vecchiaia a 67 anni ma non solo
La pensione di vecchiaia invece è quella che prevede una predeterminata soglia di contributi versati ma anche una determinata età. Pertanto potranno accedere alla pensione di vecchiaia nel 2022 come 2023, coloro i quali completano 67 anni di età e 20 anni di contributi versati. Una variante a questa pensione di vecchiaia è concessa ai cosiddetti contributivi puri che sarebbero i lavoratori che hanno il primo contributo versato dopo il 31 dicembre del 1995. In questo caso si anticipa la quiescenza di 3 anni rispetto alla pensione di vecchiaia ordinaria. La misura si chiama pensione anticipata contributiva, e per centrarla passano vent’anni di contributi. Sia per la pensione anticipata contributiva che per la vecchiaia ordinaria, non esistono finestre mobili di uscita e la decorrenza scatta dal primo giorno del mese successivo a quello di maturazione del diritto alla pensione.
Le misure in bilico per le pensioni
I grandi dubbi provenienti dal sistema previdenziale italiano e che riguardano una nutrita fetta di lavoratori riguardano quelle misure che non è sicuro verranno confermate per l’anno prossimo. Si tratta delle misure tampone che in questi anni hanno fatto capolino nel sistema e che rischiano seriamente di scomparire senza interventi del governo nella legge di Bilancio di fine anno. La prima misura di cui parliamo è senza dubbio l’Ape sociale, misura che ha permesso in questi anni di andare in pensione a molti lavoratori a partire dai 63 anni d’età. La misura come la quota 41, e destinata a determinati soggetti quali sono gli invalidi, i disoccupati, i caregiver e i lavoratori alle prese con mansioni gravose. Come detto per la quota 41 i lavori gravosi destinati all’Ape sociale sono nettamente di più. Infatti il governo nell’ultima manovra ha deciso di estendere la platea dei beneficiari dell’Ape sociale proprio per quanto riguarda lo spaccato del Lavoro gravoso.
Da 36 a 32 anni di contributi per i lavori gravosi e le loro pensioni
Per i lavori gravosi l’Ape sociale si c’entra al completamento dei 63 anni di età con 36 anni di contributi versati. A meno che non si rientri tra gli edili o tra i ceramisti per i quali bastano 32 anni. Per tutti gli altri, quindi per gli invalidi, i disoccupati e i caregivers, bastano 30 anni di contributi. L’Ape sociale è una misura che non è reversibile in caso di decesso anticipato del pensionato. Inoltre non prevede corresponsione di assegni familiari, maggiorazioni sociali è tredicesima mensilità. L’Ape sociale scade il 31 dicembre 2022. Non è detto quindi che la misura possa essere sfruttata anche l’anno venturo da chi non riesce a completare i requisiti quest’anno.
Opzione donna al bivio tra scadenza, proroga e conferma definitiva
Stesso discorso e stessa scadenza, ma anche stessi rischi di venire depennata alla sistema, riguardano la misura destinata alle lavoratrici, cioè opzione donna. La misura infatti scade il 31 dicembre prossimo, e consente di accedere alla pensione alle lavoratrici che entro lo scorso anno quindi entro il 31 dicembre 2021 hanno completato sia i 58 anni di età che i 35 anni di contributi versati. Per le lavoratrici autonome invece tale limite passa a 59 anni. Opzione donna e anche conosciuta come regime sperimentale donna ed è una misura completamente contributiva. Infatti le lavoratrici che hanno sfruttato la misura hanno dovuto accettare un ricalcolo contributivo del proprio assegno che ha significato una pesantissima penalizzazione sulla pensione. Infatti più anni sono stati versati prima del 1996, più penalizzata è la prestazione offerta da opzione donna.
Proprio il suo nome che è “regime contributivo sperimentale donna” dimostra come si tratta di una misura che è non è strutturale nel sistema ma va confermata ogni anno. Non sono poche le associazioni che chiedono di rendere strutturare la misura in modo tale da farla entrare in pianta stabile nel sistema. Su questo sta lavorando sicuramente il governo proprio in previsione della nuova legge di bilancio di fine anno, dove già si parla però solo di estensione di un altro anno per opzione donna.
La quota 102 al canto del cigno
Anche la quota 102 dovrebbe scomparire nel 2023. Infatti si tratta di una prestazione che è nata in via sperimentale per un solo anno. La misura è stata messa in atto per sostituire di fatto la quota 100 e per evitare che tutti i lavoratori a cui la quota 100 non è stata concessa per via della mancanza dei requisiti al 31 dicembre 2021, di imbattessero nello scalone di 5 anni. Mettendo da parte eventuali diatribe e critiche alla misura, che tutto ha fatto tranne che sostituire quota 100 e che tutto ha fatto tranne che limitare lo scalone per molti lavoratori, resta il fatto che fino a dicembre 2022 con quota 102 i lavoratori possono ancora lasciare il lavoro. In questo caso servono almeno 64 anni di età ed almeno 38 anni di contributi versati. Anche in questo caso dei 38 anni di contributi versati 35 devono essere effettivi.
Gli altri scivoli da qui a fine 2022
Restano ancora attivi diversi altri scivoli però destinati a platee molto molto più ristrette. Per esempio c’è la pensione con invalidità pensionabile. Si tratta di una pensione di vecchiaia che consente però di uscire già dai 56 anni di età per le donne dei 61 anni d’età per gli uomini. In questo caso la misura prevede una invalidità pensionabile pari ad almeno l’80%. E non deve essere soltanto la ASL a certificare tale grado di disabilità con la propria commissione medica. Infatti l’invalidità pensionabile è quella determinata dalla commissione medica INPS. Per questi lavoratori servono almeno 20 anni di contributi. Alcune deroghe come per esempio quella dei lavoratori cosiddetti quindicenni vanno via via scomparendo, anche se resta qualcuno che può continuare a percepire questo genere di prestazioni.
Le deroghe ai requisiti ordinari
Per esempio ci sono i lavoratori che rientrano ancora nella deroga Amato o meglio nelle deroghe Amato perché sono tre. In questo caso servono 67 anni di età e 15 anni di contributi versati. Con la primaderoga possono uscire dal lavoro coloro che hanno già maturato i 15 anni di contributi prima del 1992. Con la seconda deroga invece, si passa ad altro. Possono lasciare il lavoro sempre a 67 anni sempre con 15 anni di contributi coloro i quali sono stati autorizzati alla prosecuzione volontaria. Autorizzati prima del 1992 al versamento dei contributi volontari quindi. Va ricordato che l’autorizzazione INPS alla contribuzione volontaria basta per avere l’accesso alla prestazione. Infatti non serve che i contributi volontari siano stati versati e non serve nemmeno che si sia partiti solo con i primi versamenti. Quindi basta solo l’autorizzazione da parte dell’INPS alla prosecuzione volontaria della contribuzione. La terza deroga invece riguarda quanti sono stati alle prese con carriere lavorative costellate da lavoro discontinuo e intermittente. Per esempio bastano 10 anni di contributi versati per meno di 52 settimane lavorative all’anno. L’anzianità contributiva però in questo caso di 25 anni c’è il primo contributo versato deve essere di 5 anni