Il piano del governo sulla riforma delle pensioni è ormai noto. Come è noto il progetto dei sindacati che mirano alla solita, famosa, quota 41 per tutti. Ma ecco le ultime novità su una riforma che dovrebbe prendere quota dal prossimo primo gennaio.
Pensioni, cosa potrebbe accadere nel 2023
Ormai le posizioni dei sindacati e dell’esecutivo sono un parametro fisso se si parla di pensioni. I sindacati vorrebbero la quota 41 per tutti, ornai cavallo di battaglia delle parti sociali. Una pensione anticipata vera e propria, che andrebbe a sostituire in toto l’attuale pensione anticipata ordinaria. Si scenderebbe di circa due anni. Oggi infatti si esce con 42 anni e 10 mesi di contribuzione versata. Si risparmierebbero 22 mesi (per le donne 10 mesi in meno visto che le anticipate ordinarie per le lavoratrici è a 41 anni e 10 mesi di contribuzione versata). Il governo invece è più propenso ad una misura che consente di accedere all’anticipata una volta raggiunti i 64 anni di età.
La flessibilità in uscita per le pensioni anticipate dal 2023
In pratica, due cose diametralmente diverse. Uno spiraglio per i sindacati è quello delle penalizzazioni di assegno per una eventuale quota 41 per tutti. Penalizzazioni minime per le parti sociali, un po’ più cospicue per il governo.
Posizioni diverse come quelle sulla flessibilità in uscita, che come detto, per il governo dovrebbe partire dai 64 anni mentre per le parti sociali dai 62 anni. In sostanza, le vie che hanno qualche possibilità di diventare realtà per una riforma delle pensioni che resta difficoltosa, sono la pensione a 64 anni o Quota 41 ma con mini penalizzazione.
Continua a tenere banco il capitolo previdenziale
SI può chiamare dibattito, oppure discussione, o ancora, tavolo delle trattative, ma una cosa certa tra esecutivo e parti sociali la riforma delle pensioni è ancora in una fase embrionale. Eppure c’è chi dice che il governo abbia un piano. Nonostante il nulla di fatto nel DEF (Documento di Economia e Finanza) , il governo avrebbe in mente di impostare qualche nuova misura con una riduzione d’assegno per ogni anno di anticipo. Ma sarebbe una riduzione di pensione che inciderebbe soltanto sulla parte retributiva della pensione e non su quella contributiva.
Si ipotizza di consentire di lasciare il lavoro in anticipo come tutti chiedono, e dal primo gennaio 2033. Ma chi lascerà il lavoro potrebbe subire qualche penalità. L’esecutivo lavora per arrivare ad azzerare le differenze tra chi ha iniziato a versare prima del 1996 e chi dopo. In pratica, si vuole arrivare a parificare le regole tra retributivi e contributivi, in modo tale da azzerare le differenze.
Oggi i contributivi, cioè coloro i quali hanno il primo contributo a qualsiasi titolo versato dopo il 31 dicembre 1995, possono uscire con la pensione anticipata contributiva a 64 anni. E il governo medita di estendere la possibilità a tutti, anche a chi ha iniziato a versare prima del 1996. Ma riducendo il loro assegno con penalizzazioni sulla parte retributiva.
L’uscita a 64 anni oggi e domani, come funzionerebbe?
Il vantaggio dell’uscita a 64 anni è stato introdotto per compensare la penalizzazione in termini di importo che una pensione calcolata con il sistema contributivo ha rispetto ad una calcolata con il misto, cioè con il retributivo fino ad una determinata data e con il contributivo dopo. Tre anni di anticipo che adesso potrebbero toccare anche ai misti, purché accettano di perdere parte del vantaggio loro spettante dal metodo retributivo. Va detto comunque che per i cosiddetti contributivi puri, la pensione anticipata contributiva si centra solo se l’assegno liquidato alla data di decorrenza del primo rateo di pensione, è pari a 1300 euro circa, ovvero a 2,8 volte l’assegno sociale. Inoltre, a 67 anni i contributivi puri possono prendere la pensione di vecchiaia anche senza i 20 anni di contributi (ne bastano 5), ma solo con assegno pari ad almeno 1,5 volte quello sociale. Limitazioni che devono essere parte integrante delle discussioni in seno ai tavoli tra governo e sindacati. Perché non basta pensare di estendere i 64 anni di età a tutti con 20 anni di contributi.
Anche la UE sarebbe favorevole alle soluzioni che il governo avrebbe in mente
Il governo pensa ad una riforma che consenta a tutti, di andare in pensione prima dei 67 anni previsti dalla Fornero. Ma di fatto, imponendo un ricalcolo completamente contributivo per tutti, anche per chi ha maturato il diritto ad avere un calcolo più favorevole della pensione. Una soluzione a basso costo ad a spesa pubblica contenuta. A tal punto che l’esecutivo pensa a questa idea come l’unica che potrebbe trovare pure il benestare della UE. Infatti c’è da rispettare i diktat dell’Europa, che in materia previdenziale sono molto rigidi. Anche i tecnici che il governo, utilizza di solito per studiare politiche di natura economica, sostengono che la UE non si opporrebbe in alcun modo a misure di questo genere. E all’Europa per via dei fondi del Recovery Plan e del nostro Pnnr (Piano nazionale di ripresa e resilienza), bisogna anche dare retta.