Ormai appare scontato che la riforma pensioni a cui sta lavorando l’esecutivo Draghi guarderà all’età pensionabile come primo obbiettivo. Perché è lì che si guarda per cambiare qualcosa nel tanto discusso sistema previdenziale. Anticipare la pensione rispetto ai 67 anni è quello a cui mira l’esecutivo del Presidente del Consiglio Mario Draghi. Con un occhio di riguardo naturalmente, ai conti pubblici.
Riforma delle pensioni, l’attualità dice età da ritoccare
Con la quota 102 al posto di quota 100 il governo con la legge di Bilancio ha limitato lo scalone ma non lo ha cancellato del tutto. Per tre anni è stato possibile uscire dal lavoro con due requisiti di partenza:
- 62 anni di età;
- 38 anni di contributi.
Per 3 anni questa è stata la formula della misura introdotta dal governo Conte di Salvini e Di Maio con il decreto n° 4 del 2019, quello che fu anche il decreto che istituì il reddito di cittadinanza e la pensione di cittadinanza. Nel 2022 è cambiato qualcosa, con la quota 102. Solo per 12 mesi, cioè dal primo gennaio 2022 al 31 dicembre prossimo, la formula è la seguente:
- 64 anni di età;
- 38 anni di contributi.
Evidente che si perdono esattamente due anni. L’età pensionabile sale da 62 a 64. Sempre meglio di una salita da 62 a 67 come sarebbe dovuto essere semplicemente chiudendo quota 100. Lo scalone di 5 anni è diventato di 2. Ma una fetta di lavoratori vuole “giustizia”. Chi è nato nel 1960 per esempio, privo della pensione a 62 anni tipica di quota 100, nel 2022 non avrà accesso alla quota 102. Non avrà 64 anni come quota 102 impone. E nel 2023 sarà lo stesso, dal momento che la sperimentazione di quota 102 finisce il 31 dicembre 2022.
Gli interventi che si attendono nel 2023
C’è qualcuno che auspica un indirizzo francese alla riforma. Infatti i cugini transalpini pensano ad una soluzione diversa, che faccia salire da 62 a 65 anni l’età pensionabile ma salvaguardando le pensioni minime. Una specie di baratto con le minime a salire a 1.100 euro al mese. Non una cosa da poco se paragonata alle misere pensioni minime italiane. E poi, l’idea nostrana di congelare a 64 anni l’età di una del tutto nuova misura di pensionamento flessibile. Potrebbe essere la soluzione che mette d’accordo tutti. A partire dai sindacati che chiedono da mesi o anni una pensione che utilizzi i 62 anni di età come uscita. E con 20 anni di contributi versati. Estendere semmai, i benefici della pensione anticipata contributiva a tutti potrebbe essere la soluzione. La misura infatti permette le uscite a chi ha il primo contributo versato antecedente il 1996 e con:62 anni di età;20 anni di contributi.
Ma sulla misura grava come un macigno il vincolo di una pensione pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale. Visto che da poco l’Istituto nazionale di previdenza sociale italiano ha aggiornato il valore dell’assegno sociale portandolo a 468,10 euro al mese, evidente che parliamo di una pensione troppo alta. Si tratta di una pensione superiore a 1.300 euro al mese, assai difficile per chi ha 20 anni di contributi con una carriera “normale”. Un correttivo potrebbe essere l’abbassare tale soglia a 1,5 volte l’assegno sociale.
Il punto di vista sulle penalizzazioni di assegno è differente
Le penalizzazioni di assegno invece sono il pomo della discordia, perché i sindacati chiedono misure neutre da penalizzazioni. Il governo invece vede nelle penalizzazioni di assegno una soluzione atta a limitare la platea dei potenziali aventi diritto. Un modo per ridurre a cascata, il costo della riforma che resta anche esso un argomento che il governo deve considerare.
La nuova misura comunque dovrebbe essere una sorta di quota 102 con meno anni di contributi necessari. Perché si parla di 20 anni. Uno dei limiti alla quota 102 è dettato proprio da questo enorme montante contributivo minimo richiesto. Abbassarlo potrebbe essere ideale. Anche perché una specie di ammissione di colpa da parte del governo si è avuta con l’Anticipo Pensionistico Sociale (Ape social). Infatti dai 36 anni di contribuzione necessaria per i lavori gravosi, alcune categorie come gli edili o i ceramisti, sono state avvantaggiate portandola a 32.
Alcune conclusioni sulla riforma che deve arrivare nel 2023
Resta il fatto che la riforma delle pensioni deve guardare a due aspetti. L’età pensionabile che come detto è fondamentalmente da abbassare. Anche perché una misura flessibile deve offrire un pensionamento anticipato rispetto ai 67 anni di età pensionabile oggi vigenti. Ma anche il troppo elevato numero di anni di contribuzione deve essere ridotto.
Va anche detto che una misura flessibile deve avere delle penalizzazioni, inevitabilmente. Altrimenti non sarebbero misure flessibili. Certo, penalizzazioni esistono già per via del fatto che gioco forza, uscire prima vuol dire versare meno contributi. Ed è altrettanto vero che uscire ad una età più giovane e pensionarsi prima dei 67 anni, impone un trattamento coni coefficienti di trasformazione, che è penalizzante.
Imporre, come sembra, un taglio lineare all’assegno, magari con il 3% annuo, sembra una esagerazione che potrebbe fungere da deterrente all’appeal della nuova misura. Lo stesso si può dire per un ricalcolo contributivo della prestazione. Chi ha molti anni di versamenti antecedenti il 1996, potrebbe rimetterci davero tanto, come accade oggi alle lavoratrici che ricadono in Opzione Donna.