In agenda martedì 15 febbraio un nuovo summit sul tema delle pensioni tra governo e sindacati. C’è da approntare la riforma delle pensioni, con il sistema pensionistico che necessita di nuove misure e nuove possibilità di uscita per i lavoratori.
Niente è facile, soprattutto perché le posizioni, come è naturale che sia, sono differenti al tavolo della trattativa. I sindacati a chiedere uscite più facili per tutti, magari dai 62 anni o con una 41 anni di contributi.
Il governo invece, stretto nella morsa dell’Europa, che chiede parsimonia in materia di conti pubblici e che deve cercare di fare i compiti a casa per ottenere i soldi già assegnati come Recovery Plan.
Ecco perché si è arrivati ad un punto dove alcune misure verranno sicuramente introdotte, ma non esattamente come i lavoratori si aspettano. Nuove misure verranno varate e dovrebbero andare a sostituire alcune misure oggi in vigore che viaggiano verso il capolinea.
Cosa accadrà adesso sulle pensioni
Misure che vanno e misure che vengono, forse mai come quest’anno, si interverrà forte in materia previdenziale. Dopo il nulla di fatto o quasi della scorsa legge di Bilancio, che ha partorito solo la quota 102, ecco che probabilmente non si dovrà attendere la prossima manovra finanziaria per iniziare a mettere mano alle pensioni.
Tutto sembra andare verso un intervento già con il prossimo Documento di Economia e Finanza. Nell’atto, propedeutico alla legge di Bilancio, che i governi di norma emanano ad aprile, vengono segnate le linee che un esecutivo segue in materia economica e finanziaria.
E tutto sembra spingere a considerare quell’atto come quello dove si inizierà a varare la riforma. In primo luogo un ritocco serve per le pensioni delle Forze dell’ordine, dei militari e così via, per i quali è prevista la pensione dai 58 anni.
Misure da correggere sulle pensioni, ecco quelle a rischio
Ma potrebbero con ogni probabilità sparire misure oggi vigenti che consentono a determinate categorie di lasciare il lavoro anticipatamente. Parliamo per esempio di opzione donna.
Il regime contributivo anticipato per le lavoratrici, oggi consente il pensionamento dai 59 anni di età per le lavoratrici autonome. Invece è dai 58 anni per le lavoratrici dipendenti. In ogni caso servono anche 35 anni di contributi. Opzione donna però si centra se l’età e il montante contributivo vengono completati al 31 dicembre 2021.
Una misura che però, stando alle indiscrezioni di cui tratta il quotidiano “Il Giornale”, è destinata a scomparire. Si lascerebbe sempre un canale agevolato per le donne. Ma partendo da 60 e 61 anni, cioè due anni più lontano di quanto prevede oggi il regime contributivo donna.
Occorre allontanare le pensioni, non basta il calcolo contributivo, la riforma come deve essere
Tutto lascia presupporre quindi un inasprimento dei requisiti. Anche perché nonostante il taglio delle pensioni dovuto al ricalcolo contributivo imposto, la giovane età è un peso. Le uscite anticipate troppo come età sono un fardello pesante in materia di spesa pensionistica. E la riforma pensioni non può non considerare questo.
E la UE è proprio questo che da sempre contesta all’Italia. L’elevato costo della spesa previdenziale (che a dire il vero erroneamente in Italia è cumulata con la spesa assistenziale). È proprio il costo delle misure previdenziali che verrà messo in discussione. E probabilmente questo costo sarà utilizzato come scudo da parte del governo per dire di no a qualsiasi ipotesi di alleggerimento dei requisiti di uscita.