Pensioni contributive: il ricalcolo penalizzante, ecco cosa si perde, tutti gli esempi

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A dirla tutta, parlare di riforma delle pensioni come di una cosa ormai certa è sempre un esercizio azzardato visto quello a cui si è assistito negli anni. Riforma delle pensioni che più volte sembrava ad un passo ma che alla fine non è mai stata fatta. Sono stati molteplici gli interventi normativi negli ultimi anni sul capitolo delle pensioni. Ma il più delle volte sono stati interventi tampone, piccole misure ben delimitate come platea e piene zeppe di vincoli, paletti e requisiti a volte difficilmente centrabili e forse comprensibili.

Adesso però sembra che tutte le caselle del puzzle stiano andando al loro posto, con l’esecutivo Draghi che pare seriamente intenzionato a varare una riforma delle pensioni che arrivi per davvero a superare la riforma Fornero, ultima vera riforma del sistema a memoria d’uomo.

Ma sarà una riforma che secondo molti, rischia di far rimpiangere la riforma del governo Monti/Fornero. Sarà vero che dopo tanti anni di discussioni, incontri, summit e proposte, alla fine si arriva a ritoccare un sistema basato su una legge troppo severa come quella della Fornero, introducendone un’altra ancora più severa? Probabilmente si arriverà ad una riforma che produrrà misure di pensionamento anticipato come molti lavoratori auspicano, ma a caro prezzo. Un prezzo che sarà pagato come al solito dai lavoratori e futuri pensionati.

Riforma delle pensioni ad un passo? Sembrerebbe di si

Nulla ancora di ufficiale e di certo, ma pare che la riforma delle pensioni tra poche settimane potrebbe vedere finalmente i natali. E dal 2023 tutto cambierà in materia previdenziale. Sono molteplici le proposte e le ipotesi sul tavolo. Nessuna però capace di far dire a chi le osserva, che dal 2023 si andrà in pensione più facilmente. Anzi, quello che balza agli occhi è un peggioramento della situazione, non tanto per età di uscita dal lavoro o di pensionamento, quanto di importo degli assegni.

Probabilmente sarà ad aprile con il nuovo documento di economia e finanze che la riforma delle pensioni verrà predisposta, o per lo meno inizierà a fare capolino visto che il DEF è l’atto di governo con cui vengono delineate le misure di carattere economico e finanziario dello Stato, con i capitoli di spesa compresa quella previdenziale. Ciò che appare evidente è che si va verso un contributivo integrale, nel senso che probabilmente di dovrà dire addio alle pensioni calcolate nel misto.

Oggi sono sempre meno i contribuenti che hanno contributi versati nel sistema retributivo. Ma ce ne sono tanti che hanno anche più di 18 anni di versamenti prima del primo gennaio 1996. E più anni di carriera rientrano nel favorevole sistema retributivo, più si perde a ricevere una pensione calcolata tutta con il sistema contributivo.

Perché contributivo e basta

Secondo tutti i tecnici il sistema contributivo è meno favorevole ai pensionati rispetto a quello retributivo. Un dato di fatto questo incontrovertibile. Ma è altrettanto vero che per tutti questi tecnici, il sistema contributivo è il più equo. Chi va in pensione prende ciò che si merita, ovvero un assegno corrispettivo di ciò che ha versato nella carriera lavorativa.

I punti fermi che oggi sono sul tavolo riguardano due cose, cioè la mancata conferma della legge Fornero come parametro del sistema previdenziale, e lo stop alla quota 102. Si, anche quest’ultima misura, nata solo da qualche mese, in sostituzione di quota 100, cesserà il 31 dicembre prossimo.

Probabilmente però, si cercherà di arrivare ad un misura pensionistica che parte da una età pensionabile di 64 anni proprio come quota 102. Magari rendendola allineata alla pensione di vecchiaia ordinaria, cioè con uscite una volta raggiunti i 20 anni di contributi minimi (la quota 102 ne prevede 38 come la vecchia quota 100). Ma solo accettando un pieno ricalcolo contributivo.

Una pensione contributiva per tutti

Si estenderebbe a tutti la pensione anticipata contributiva che già oggi fa uscire dal lavoro chi ha compiuto 64 anni ed ha almeno 20 anni di contributi versati, per lo meno. Ma con pensione pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale. Ma è una misura che oggi riguarda solo chi è privo di contributi a qualsiasi titolo versati antecedenti il 1996. Si tratta dei cosiddetti contributivi puri, che di fatto non subirebbero alcuna penalità accettando questa misura visto che non hanno diritto a calcoli di pensione alternativi a quello per chi hanno versato, cioè il contributivo.

Diverso il caso di chi uscirebbe con una misura del genere, estesa a tutti, ma con opzione per il contributivo obbligatoria. Il rischio è che chi compie 64 anni di età nel 2023, pur completando 38 anni di contributi versati, e magari avendone già 18 o più versati al 31 dicembre 1995, possa prendere una pensione nettamente più bassa rispetto a chi essendo nato un anno prima ha sfruttato la quota 102.

Alcune proposte sul tavolo, ma tutte contributive, salasso sulle pensioni

Estendere quindi la pensione anticipata per i contributivi puri, pure ai misti è solo una proposta tra quelle sul tavolo. Ed è una proposta che prevede un grosso taglio di assegno per molti possibili pensionati che potrebbero così soprassedere e decidere di non sfruttare questo canale di uscita, aspettando la pensione di vecchiaia senza tagli di assegno. Anche perché si tratta di 3 anni di anticipo, non certo un anticipo netto di età pensionabile che può rendere particolarmente appetibile la misura. Ed anche portando la soglia da 2,8 ad 1,5 volte l’assegno sociale, l’appeal della misura non sarebbe incrementato in maniera esponenziale.
Ma ci sarebbe anche la proposta di Pasquale Tridico, Presidente dell’Inps. In questo caso la pensione potrebbe essere penalizzata solo per una parte, cioè per qualche anno fino al compimento dell’età per la pensione di vecchiaia.

Secondo il numero uno dell’Istituto Previdenziale, si potrebbe concedere una pensione anticipata a partire dai 63 anni. Ma accettando di percepire solo la parte contributiva dell’assegno. In pratica si deve accettare di percepire quella pensione tagliata e liquidata con il solo metodo contributivo. Ma il taglio durerebbe solo il necessario, cioè solo per quegli anni di anticipo fino ai 67 anni, quando si andrebbe a ricalcolare il tutto anche con la parte retributiva.  E sempre di pensione a 64 anni parla un’altra proposta, ma con taglio lineare del 3% per ogni anno di anticipo, cioè fino al 9% in meno di pensione. Evidente che il ragionamento dei legislatori è quello di dotare il sistema delle opportune misure di flessibilità in uscita, ma barattando l’anticipo con una pensione più bassa.

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Sindacalista, operatore di Caf e Patronato, esperto in materia previdenziale, assistenziale, lavorativa e assicurativa. Da 25 anni nel campo, appassionato di scrittura e collaboratore con diversi siti e organi di informazione.