Fare causa al Fisco e quindi ad Agenzia delle Entrate è una possibilità che la legge consente. Cittadini privati e imprese, possono intentare causa contro gli atti che le Entrate, anche tramite la sua branca interna delle riscossione, attivano contro i contribuenti.
Il rapporto tra contribuente e Fisco in materia di liti fiscali (questo il termine extra giuridico che si utilizza per definire le cause tra cittadini e Fisco) è sbilanciato. Infatti in genere in una lite tra due soggetti paritari di fronte ad un giudice, c’è chi denuncia e chi si deve difendere, e questo può essere reciproco da entrambi i soggetti in causa.
Con le Entrate in genere è sempre il contribuente a denunciare, cioè a chiedere l’intervento di un soggetto terzo quale è un giudice. In materia possiamo dire che il contribuente, sia esso una persona fisica piuttosto che un soggetto giuridico, è l’attaccante, mentre le Entrate o il concessionario alla riscossione, sono i difendenti.
Ma come funzionano le liti fiscali? Ecco una dettagliata guida per capire il meccanismo e cosa la legge consente al contribuente.
L’Agenzia delle Entrate non ha bisogno di promuovere azioni legali, il contribuente si
La disparità di rapporto tra contribuente e Agenzia delle Entrate è a favore di quest’ultima. Per far valere le proprie ragioni un contribuente deve presentare ricorso, chiedendo ad un giudice o ad altro organismo deputato, di stabilire se le sue ragioni sono quelle valide.
Le Entrate non hanno questo bisogno, perché basta una cartella di pagamento, una ingiunzione di pagamento, un avviso di accertamento, per avere in mano un titolo che di fatto obbliga il contribuente a pagare. Nessuna sentenza di un giudice serve alle Entrate per mettere all’angolo il contribuente, cioè per costringerlo ad adempiere al pagamento.
In linea di massima quindi, possiamo definire lite fiscale come quell’azione di contestazione che un contribuente promuove verso il Fisco. Una lite fiscale è promossa da un contribuente contro le richieste di pagamento di un Ente pubblico (non necessariamente le Entrate, anche se nella maggior parte dei casi è contro di loro che il cittadino ricorre). Il Tribunale competente in materia è il CTR, acronimo di Commissione Tributaria Regionale. In alternativa ci si può rivolgere alle Commissioni Tributarie Provinciali (CTP). La Suprema Corte di Cassazione invece è l’ultimo anello della catena. Alla Cassazione si arriva dopo i passaggi precedenti alle Commissioni, quando si fa appello contro la sentenza di queste ultime.
Il propedeutico passaggio della mediazione
Se la richiesta di pagamento dell’Agenzia delle Entrate è di basso importo (e per il Fisco questo significa sotto i 20.000 euro), si parte sempre da un tentativo di conciliazione. In pratica si cerca di risolvere la situazione prima di giungere dinnanzi le Commissioni, cioè davanti al giudice. Lo strumento è la mediazione tributaria. La mediazione non è facoltativa ma deve essere lo strumento propedeutico alle altre successive azioni. In pratica si cerca un accordo con l’Ente impositore, portando le motivazioni del ricorso a conoscenza di quest’ultimo nella speranza che sia già lo stesso Ente ad accogliere il ricorso come buono e annullare la richiesta di pagamento.
Si tratta di una specie di anticipazione che il contribuente da alle Entrate. Un anticipo che fa riferimento ai contenuti del suo ricorso.Ben consci del fatto che decorsi i termini di risposta delle Entrate, o al rigetto dell’istanza, passerà alla CTR o alla CTP. L’istanza di mediazione deve pervenire all’Ente impositore entro 60 giorni dalla relata di notifica. Due mesi di tempo da quando l’atto è stato recapitato al contribuente. A mediazione fallita, entro 90 giorni dalla presentazione dell’istanza si passa al deposito del ricorso presso il giudice competente in materia.