Pensioni argomento caldo, come sempre accade soprattutto a cavallo della legge di Bilancio.
Lo sprint con cui si parla di riforma delle pensioni subito dopo una manovra finanziaria è piuttosto discutibile.
Infatti, prima non viene fatto nulla o quasi nella manovra finanziaria, poi si parte con riunioni, incontri e promesse di intervento che, a naso, non arriveranno in porto se non con la legge di Bilancio futura.
Qualcuno ha avanzato l’ipotesi che si possa fare qualcosa con il Def (Documento di economia e finanza), tra marzo e aprile, ma per noi è una falsa illusione.
E così ecco che i lavoratori devono fare i conti con le attuali regole, non propriamente agevoli dal punto di vista previdenziale. Ma ci sono misure che consentono uscite anticipate con alcune deroghe e sconti per determinati lavoratori.
Donne e pensioni, a volte quiescenze più facili
Partiamo dalle differenze di genere, cioè tra uomini e donne. Un luogo comune dice che le lavoratrici sono più penalizzate degli uomini sulle pensioni.
Anche noi pensiamo che sia vero, anche se forse sarebbe meglio parlare di penalizzazioni che partono dal mondo del lavoro piuttosto che dal mondo previdenziale.
Infatti è da ricercare altrove la causa di queste differenze in termini di pensionamento per le donne.
Le donne sono penalizzate dal fatto che spesso si devono dividere tra lavoro e cura della casa e della famiglia.
Altre volte arrivano a sacrificare carriere e lavori per dedicarsi ai figli e alla famiglia.
E dal momento che la stragrande maggioranza delle misure previdenziali prevedono carriere lunghe e costanti, ecco che la penalizzazione è servita.
Opzione donna non aiuta
Quota 100 prima e quota 102 ora, vogliono 38 anni di contributi per la pensione. Perfino l’Ape sociale, pur con le limitatezze di platea dei beneficiari, vuole 36 anni di contributi per i lavori gravosi e 30 anni per disoccupati, caregivers e invalidi.
Anche opzione donna ha 35 anni di contributi necessari. Troppi per molte lavoratrici, che già dovrebbero accettare un netto taglio di pensione per via di un ricalcolo contributivo che il regime sperimentale donna prevede.
Quali i vantaggi per le donne
Troppi anni di contributi quindi, che tagliano fuori molte lavoratrici da un po’ tutte le misure di pensione anticipata previste dal nostro ordinamento. La pensione anticipata si centra con 42 anni e 10 mesi di contributi e senza limiti di età. Ma solo per gli uomini. Per le lavoratrici serve un anno in meno, cioè 41 anni e 10 mesi.
Di questi, 35 anni devono essere effettivi, cioè al netto di figurativi da disoccupazione o malattia.
Uno sconto di un anno, che per quanto detto prima, appare poco utile.
Tornando a opzione donna, la misura oltre ai già citati 35 anni di contributi versati, necessita di 58 anni per le dipendenti e 59 per le autonome.
Occorre che una lavoratrice deve aver cominciato a lavorare a 23 anni ed ininterrottamente o quasi, fino ai 58 anni di età.
Ape sociale o opzione contributiva, quando i figli aiutano
Ci sono alcune misure che prevedono un particolare trattamento di vantaggio per le donne. Non tutte naturalmente, ma solo le mamme lavoratrici. L’Ape sociale per esempio, prevede uno sconto di 12 mesi per figlio avuto fino ad un massimo di 24 mesi. Ed è uno sconto sui contributi necessari che passano da 36 a 35 o 34 per i lavori gravosi, e da 30 a 28 o 29 per invalidi, disoccupati e caregivers.
Massimo 12 mesi di sconto per chi opta per il contributivo. Lo prevede la legge Dini. Uno sconto di 4 mesi per figlio avuto fino a massimo 12 mesi.
Tale beneficio è destinata a chi ha optato per il sistema contributivo (tranne opzione donna che non viene considerata, stranamente, una opzione contributiva pur prevedendo il ricalcolo contributivo della pensione). Lo sconto riguarda chi ha iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995 o chi ha optato per il computo nella Gestione Separata.
Precoci, unica strada la quota 41
In genere quando si parla di precoci il limite dovrebbe essere considerato quello della maggiore età, cioè 18 anni. Il precoce dovrebbe essere quello che ha iniziato a lavorare prima dei 18 anni di età. Oggi una sola misura è destinata ai precoci.
Questa misura è la quota 41. Non ci sono limiti di età ma solo l’obbligo di completare 41 anni di contributi di cui, 35 effettivi e di cui uno versato prima dei 19 anni di età, anche in misura discontinua. Occorre però essere alternativamente, caregivers che assiste un familiare disabile, convivente e a carico da almeno 6 mesi, invalido con una percentuale di disabilità sopra il 74% o disoccupati.
Ma disco verde pure per chi rientra tra le 15 attività di lavoro gravoso che fino al 31 dicembre 2021 erano le uniche attività gravose che davano diritto pure all’Ape sociale (per il 2022 e solo per l’Ape sociale sono state implementate le attività di lavoro gravoso).
Precoci, quando un anno di contributi vale di più per le pensioni
Sempre per i precoci, ma stavolta per quelli che hanno iniziato a lavorare prima del 18 anni di età, c’è una norma che prevede l’accredito di un anno e mezzo di contributi ogni anno effettivamente lavorato come precoce. Ancora una volta è la legge Dini a prevederlo.
Chi ha iniziato la carriera dopo il 31 dicembre 1995 (contributivi puri), ma anche prima dei 18 anni di età, ha diritto ad utilizzare i periodi di versamento durante la minore età, maggiorati. Ogni anno di lavoro prima dei 18 anni vale così un anno e mezzo. Lavorare due anni significa mettere da parte 3 anni di contributi, che però sono utili solo al diritto alla pensione e non al suo calcolo