Trattando l’argomento della sicurezza sul luogo di lavoro si è visto che per le imprese familiari vi sono delle deroghe alle regole generali, diventa quindi importante definire l’impresa familiare e le sue peculiarità.
L’impresa familiare
L’impresa familiare è disciplinata dall’articolo 230 bis del codice civile. L’obiettivo di questa disciplina non è facilitare l’attività di impresa, ma dare una tutela, soprattutto di tipo economico, a soggetti che solitamente prestano la loro attività per la famiglia non ricevendone in cambio uno stipendio vero e proprio ma benefici molto effimeri.
Chi sono le parti dell’impresa familiare
La prima cosa da sottolineare è che vi sono dei limiti nel configurare l’impresa familiare, cioè non ci si può avvalere di tale disciplina tutte le volte in cui dei familiari siano coinvolti nella realtà aziendale, perché solo parenti stretti possono partecipare. Si tratta di coniuge, a cui viene parificato la parte dell’unione civile e con l’introduzione dell’articolo 230 ter ( legge 76 del 2016) anche il convivente.
Possono partecipare i parenti entro il terzo grado. Il vincolo di parentela, in base all’articolo 74 del codice civile accomuna persone che discendono dallo stesso stipite. Il grado di parentela viene calcolato contando le generazioni e sottraendo lo stipite comune. I parenti si dividono in ascendenti e discendenti, quando si discende dalla stessa persona e collaterali quando le persone non discendono l’una dall’altra (fratelli). I parenti entro il terzo grado, rispetto al titolare dell’attività di impresa, sono:
- genitori;
- nonni;
- figli;
- nipoti (figli dei figli e figli di fratelli e sorelle);
- bisnipoti (discendenti);
- fratelli e sorelle;
- zii.
Possono far parte dell’impresa familiare anche gli affini entro il secondo grado. Gli affini sono i parenti del proprio coniuge e possono rientrare nell’attività di impresa familiare i:
- suoceri;
- nuore e generi;
- cognati;
- nonno e nonna del coniuge.
Ora che abbiamo determinato chi può far parte dell’impresa familiare, andiamo a vedere nel concreto quali sono i diritti di tali soggetti.
Diritti dei partecipanti all’impresa familiare
La prima cosa da sottolineare è che può parlarsi di soggetti facenti parti dell’impresa familiare solo nel caso in cui non ci sia un’altra tipologia di rapporto. Ad esempio se il titolare dell’impresa assume il coniuge, il rapporto non può più essere inquadrato nell’ambito dell’impresa familiare, sarà un comune rapporto di lavoro dipendente. Inoltre affinché si possa essere parte dell’impresa familiare è necessario che il lavoro prestato sia continuativo, una partecipazione saltuaria non fa sorgere diritti. Detto questo, i diritti che sorgono in favore dei soggetti partecipanti nell’impresa familiare sono individuati nell’articolo 230 bis del codice civile. In particolare il familiare ha diritto al:
- mantenimento secondo le condizioni patrimoniali della famiglia ( questo in famiglie facoltose con un patrimonio ampio che potrebbe comprendere anche attività ulteriori rispetto all’impresa stessa, potrebbe voler dire assicurare un tenore di vita più dispendioso rispetto a quello che potrebbe permettersi percependo a un normale stipendio);
- alla partecipazione agli utili dell’impresa;
- il familiare partecipa ai beni acquistati con i proventi dell’attività di impresa;
- infine, partecipazione negli incrementi dell’azienda, tra cui all’avviamento.
Tali partecipazioni devono essere valutate in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato.
Poteri decisionali dei familiari
I diritti che sorgono però non sono solo di tipo economico, infatti è prevista la partecipazione anche alle decisioni relative all’azienda. Sempre l’articolo 230 bis del codice civile stabilisce che hanno diritto di voto su questioni inerenti:
- impiego degli utili e degli incrementi;
- la gestione straordinaria dell’impresa;
- indirizzi produttivi;
- cessazione dell’impresa.
Tali decisioni devono essere prese a maggioranza dei familiari partecipanti all’impresa, nel caso in cui tra i votanti ci siano persone senza capacità di agire, ad esempio minori autorizzati a lavorare, per loro votano coloro che esercitano la responsabilità genitoriale o tutori.
L’articolo 230 bis pone l’accento anche sulla questione di genere, infatti in passato le imprese familiari si avvalevano del lavoro delle donne di casa, senza che però queste avessero alcuna voce in capitolo quando si trattava di decidere. Il comma 2 invece sottolinea che il lavoro prestato dalle donne equivale a quello dell’uomo.
I diritti ora visti non sono trasferibili, nel senso che sono personali, ma è prevista un’eccezione cioè il trasferimento ad altro soggetto che rientra tra coloro che possono far parte dell’impresa familiare e tale trasferimento deve ottenere il consenso di tutti i familiari partecipanti all’impresa.
Nel caso in cui il titolare dovesse decidere di alienare l’attività, i partecipanti all’impresa familiare hanno il diritto di prelazione, quindi devono essere preferiti in qualità di acquirenti alle stesse condizioni offerte a un terzo soggetto. Il partecipante all’impresa può inoltre essere liquidato al momento della cessazione del rapporto di collaborazione con l’attività stessa, ad esempio nel caso in cui dovesse ricevere un altro lavoro.
Ulteriori informazioni
Delle precisazioni devono essere fatte in merito ai debiti eventualmente contratti, infatti, in questi casi i partecipanti all’attività non rischiano, l’imprenditore risponderà dei debiti con il patrimonio aziendale e con il patrimonio personale, ma di fatto non risponde dei debiti contratti con il beni intestati al suocero che presta la sua attività in azienda, con suoi eventuali risparmi, anche se gli stessi sono stati accumulati utilizzando in mantenimento versato dall’imprenditore. Nel caso in cui in azienda siano però presenti delle quote accantonate e di spettanza dei partecipanti, queste possono essere utilizzate per soddisfare i creditori.
Un’altra questione dibattuta riguarda l’ex coniuge, ci si chiede se il coniuge che partecipa all’attività dell’impresa familiare, in seguito a divorzio debba essere considerato ancora partecipante e quindi se in capo a costui continuino a sorgere i diritti prima visti. La tesi prevalente afferma che il rapporto di partecipante all’impresa familiare cessa con il divorzio. In questo caso se l’ex coniuge continua a prestare lavoro nell’azienda, il rapporto deve essere regolato con i normali contratti di lavoro. In caso contrario, secondo la tesi prevalente ci si trova di fronte a lavoro in nero.
Molto particolare è il caso del familiare che si occupi dell’accudimento della prole, (ad esempio la cognata) permettendo così al coniuge di partecipare all’impresa familiare. In questo caso si ritiene che il lavoro della “cognata” debba essere considerato funzionale all’attività di impresa e che, di conseguenza, se il rapporto non è diversamente regolato (contratto di lavoro come baby sitter) ci si trova di fronte a un partecipante all’impresa familiare.
Se vuoi conoscere le deroghe previste in materia di sicurezza sull’impresa familiare, leggi l’articolo: Impresa familiare e sicurezza sul luogo di lavoro: deroghe al d.lgs 81 del 2008