Oggi andremo nel cuore dell’annosa questione del periodo di comporto che avvolge il mondo del lavoro. Quando il superamento di tale periodo può portare al licenziamento e quando esso non ne giustifica la possibilità. Scopriamolo assieme, in questa rapida guida.
Periodo di comporto, di cosa si tratta
E’ bene, prima di tutto, specificare di cosa si tratta, quando si parla di periodo di comporto.
Possiamo, molto brevemente dire che il periodo di comporto corrisponde al numero massimo di assenze per malattia che possono essere effettuate dal lavoratore. Se tale periodo viene superato, il datore di lavoro ha facoltà a procedere al licenziamento, a meno che il contratto collettivo non preveda l’aspettativa non retribuita.
Andiamo, di seguito, a vedere quando il periodo di comporto può sfociare nella massima pena (il licenziamento) e quando, invece tale superamento non giustifica il licenziamento.
Periodo di comporto: il licenziamento
Possiamo ben dire che per quanto riguarda l’ impugnazione del licenziamento in merito al superamento del periodo di comporto, grava sul datore di lavoro l’onere di allegare e di dover provare i fatti costitutivi del potere di recesso, mentre spetta al lavoratore la loro contestazione.
Quindi, ragion per cui, in difetto di specifica contestazione ovvero in assenza di una chiara e precisa presa di posizione del lavoratore sull’esistenza delle assenze per malattia incluse nel computo del comporto, queste risulteranno non controverse e, in quanto tali, non avranno necessariamente bisogno di prova.
A tal proposito, va dunque aggiunto che il licenziamento intimato per il perdurare delle assenze per malattia o per infortunio del lavoratore, ma prima del superamento del periodo massimo di comporto fissato dalla contrattazione collettiva o, in difetto, dagli usi o secondo equità, si rivela nullo per violazione della norma imperativa di cui all’art. 2110, comma 2, c.c.
Va aggiunto, a titolo informativo, che il licenziamento per superamento del periodo di comporto non è assimilabile ad un licenziamento disciplinare, bensì ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, causale di licenziamento cui si fa riferimento anche per le ipotesi di impossibilità della prestazione, riferibile alla persona del lavoratore, diverse dalla malattia.
In ultimo, ma non ultimo, va detto che solo e soltanto impropriamente, riguardo a tale licenziamento, si può parlare di contestazione delle assenze, non essendo necessaria la completa e minuta descrizione delle circostanze di fatto relative alla causale e trattandosi di eventi, quale l’assenza per malattia, di cui il lavoratore ha conoscenza diretta.
Periodo di comporto e licenziamento non giustificato
Restando nel merito della questione, possiamo dire che c’è un fattore che potrebbe non giustificare il licenziamento, in caso di periodo di comporto. Lo vediamo di seguito.
In caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto, le assenze del lavoratore per malattia non giustificano il recesso del datore di lavoro ove l’infermità dipenda dalla nocività delle mansioni o dell’ambiente di lavoro che lo stesso datore di lavoro abbia omesso di prevenire o di eliminare, finendo per andare a violare l’obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c.
Dunque, questo è quanto vi fosse di più utile, indispensabile e necessario, da sapere in merito alla questione legata alle panoramiche di licenziamento dal lavoro, dovuto al superamento del periodo di comporto e quando esso possa essere, invece non giustificato al recesso.