Il Salario minimo è il valore minimo di una paga giornaliera, mensile che si possa riconoscere ad un lavoratore. Ecco la situazione in Italia.
Salario minimo: i paesi che l’hanno introdotto
Il salario minimo secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro è l’ammontare di retribuzione minima che per legge un lavoratore riceve per il lavoro prestato in un determinato lasso di tempo, e che non può essere ridotto da accordi collettivi o contratti privati. In Italia non esiste una legge che introduca il salario minimo.
Mentre la prima Nazione ad introdurre il minimo salariale fu la Nuova Zelanda nel 1894. A seguire Australia, Regno Unito e Stati Uniti. In Unione Europa sono ben 28 stati che hanno leggi sul salario minimo. Invece gli altri sei restanti, tra cui l’ltalia hanno solo delle paghe base nei contratti collettivi di settore. Insieme all’Italia non hanno politiche di salario minimo la Svezia, la Finlandia, l’Austria, la Danimarca e Cipro.
Salario minimo: le considerazioni del rapporto OIL
Secondo il rapporto dell’Organizzazione internazionale del lavoro sono ben 327 milioni i lavoratori che percepiscono una retribuzione pari o inferiore al salario minimo a livello mondiale. Mentre 266 milioni guardagno meno del salario minimo. Nel 2020 il 18 per cento dei paesi che dispongono del salario minimo legale escludono l’ambito di applicazione dei lavoratori agricoli e domestici.
Tuttavia il rapporto evidenzia anche che in tali sistemi è molto significativa l’incidenza dell’informalità. Nei paesi con alti livelli di informalità, affinché i sistemi di salario minimo siano efficaci, devono essere accompagnati da misure che incoraggino la formalizzazione. Altre misure comprendono, ad esempio, ispezioni mirate sul lavoro, campagne di sensibilizzazione e sforzi maggiori per aumentare la produttività.
Il rapporto Eurostat
Secondo un rapporto dell’Eurostat le soglie garantite più inferiori sono in Bulgaria (332 euro al mese), Ungheria (442), Romania (458) e Lettonia (500). Sono sopra i 500 euro: Croazia (563), Repubblica Ceca (579) ed Estonia (584). Sopra i 600 euro mensili troviamo: Polonia (614), Slovacchia (623) e Lituania (642). In altri 4 Paesi dell’Ue, i salari minimi oscillano tra i 700 euro e poco più di 1000 euro al mese: Grecia (758 euro), Portogallo (776 , Malta (785), Slovenia (1024). In Spagna il salario minimo è di 1.108 euro al mese. Sono sei invece i Paesi nei quali lo stipendio sotto il quale non si può scendere è superiore ai 1.500 euro mensili: Francia (1.555), Germania (1.614), Belgio (1.626), Olanda (1.685), Irlanda (1.724) e Lussemburgo (2.202).
E in Italia?
In Italia come abbiamo detto non esiste una soglia di salario minimo. Pertanto ci si rifà alle paghe base dei contratti collettivi nei diversi campi economici. In altre parole è la principale voce di retribuzione, il compenso minimo dovuto al lavoratore. Ma questo compenso cambia in relazione al tipo di lavoro, al grado di professionalità acquisita e all’applicazione de normale orari di lavoro. Sono i contratti nazionali di categoria da definirla e quindi poi applicata dalla aziende.
Per questo motivo è da quest’anno che il tema ha assunto particolare rilevanza. Anche perché sembra che nel nostro Paese i giovani e le donne rappresentino la classe di lavorativi più sottopagata. Mentre l’introduzione del salario minimo, garentirebbe a tutti un minimo in busta paga tale da permettere almeno la sopravvivenza della persona.
Pro e contro del salario minimo
Un pro è sicuramente legato alla maggiore copertura salariale per tutte le categorie di lavoratori. Attualmente in Italia solo 80% dei lavoratori è coperto da un Contratto di lavoro Nazionale. Mentre sono sempre più le categorie di lavoratori che svolgono lavori online o flessibili. Per loro non esiste un inquadramento lavorativo ben definito.
Un salario minimo garantirebbe al lavoro almeno un minimo di reddito. Cio’ non vuol dire che il dipendente diventerà ricco all’improvviso. Ma almeno che possa vivere serenamente e non convivere con la soglia di povertà. Anche se spesso si tratta di situazioni critiche legate al settore dell’agricoltura come la raccolta nei campi o settori ad esso legati.
Tra i contro c’è quello legato al lavoro nero. Qualcuno sostiene che l’imposizione di un valore minimo possa far crescere il lavoro nero a discapito della così detta “messa in regola”. Non solo anche i sindaci potrebbero osteggiarlo; perché sarebbe difficile trovare un valore unico che possa andar bene per tutte le categorie. Ed infine ci sono gli economisti che vedo un aumento dei redditi pro capite come un pericoloso rischio inflazione. Vedremo cosa accadrà in Italia nei prossimi mesi e se le cose prenderanno una piega diversa.