Con un messaggio scarno l’INPS ha fatto sapere che a decorrere dalla data del 14 ottobre 2021 non sarà più erogato l’assegno mensile di assistenza previsto dall’articolo 13 della legge 30 marzo 1971 n°118 a coloro che hanno un reddito. Naturalmente sono molti gli invalidi che mostrano una certa preoccupazione di fronte a questo importante cambiamento. Ecco la nuova normativa.
L’assegno mensile di assistenza/invalidità
Per capire bene di cosa ci occupiamo è bene delimitare prima il campo. L’articolo 13 della legge 30 marzo 1971 prevede l’erogazione in favore di coloro a cui viene riconosciuta una percentuale di disabilità compresa tra il 74% e il 99% di un assegno mensile di assistenza per 13 mensilità.
Oltre a tali requisiti (disabilità) è necessario avere un’età compresa tra i 18 e i 65 anni di età e percepire un reddito annuo personale inferiore a 4.931,29 euro.
Sono destinatari dell’assegno di invalidità i cittadini italiani o cittadini di altri paesi dell’Unione Europea che però siano residenti in Italia, inoltre si riconosce tale diritto anche ai cittadini extracomunitari in possesso del permesso di soggiorno e soggiornanti di lungo periodo. L’assegno è incompatibile con altre pensioni erogate da INPS, INAIL o altri enti.
L’ammontare dell’assegno di assistenza è nel 2021 di 287,09 euro mensili ed è oggetto di rivalutazione di anno in anno in base all’inflazione. Al compimento del sessantesimo anno di età si trasforma in assegno sociale.
Cosa dice il Messaggio INPS 3495 del 14 ottobre 2021?
Questa è appunto la disciplina generale. Su essa nel tempo vanno a incidere delle sentenze della Corte di Cassazione e nel messaggio 3495 del 14 ottobre 2021 dell’INPS si sottolinea proprio che ci sono molte sentenze che confermano che il requisito economico previsto dalla disciplina della legge non debba essere considerato una “mera condizione di erogabilità” ma un elemento costitutivo del diritto a percepire l’assegno mensile di assistenza. Di conseguenza, secondo l’INPS, nel rispetto delle diverse sentenze dei tribunali italiani, è necessario affermare che lo svolgimento di un’attività lavorativa “a prescindere dalla misura del reddito ricavato, preclude il diritto al beneficio”. La scrivente ha preferito citare alla lettera le parole del messaggio perché esse non lasciano spazio ad alcun dubbio.
Resta, infine, da ricordare che il Messaggio INPS 3495 del 14 ottobre 2021 non si riferisce a coloro che hanno il riconoscimento dell’invalidità al 100%.
Appare in tutta evidenza che con questo messaggio si modifica una parte importante delle disposizioni prima vigenti, cioè quella che prevede la possibilità di mantenere l’assegno mensile di assistenza nel caso in cui il reddito sia inferiore a 4.931 euro annuali.
Naturalmente non sono mancate prese di posizione contrastanti con questo messaggio, infatti, pensare che un disabile possa essere autonomo economicamente con una blanda misura di 287 euro mensili è assurdo. Di conseguenza per lui cercare un lavoro, magari da casa, in smart working, un leggero part time, è essenziale . E’ però altrettanto vero che le entrate di tali lavori sono comunque basse e da sole non possono dare indipendenza economica mentre con il piccolo aiuto dell’assegno di invalidità sicuramente vi può essere una maggiore disponibilità economica, anche tenendo in considerazione le esigenze peculiari di chi è diversamente abile.
Come ha reagito la politica alla decisione dell’INPS di sospendere l’erogazione dell’assegno di invalidità?
A far scudo contro questa decisione ci sono volti importanti, ad esempio Iacopo Melio, free lance e ora consigliere nella regione Toscana che sottolinea come per un disabile sia difficile accedere a posizioni lavorative stabili e soddisfacenti dal punto di vista economico (anche a causa dei limiti alla mobilità) e, di conseguenza, tagliare l’assegno mensile di assistenza a fronte di erogazioni spesso precarie, rappresenta una forte ingiustizia. In effetti come dargli torto? Una condizione lavorativa anche precaria può essere un forte sostegno anche dal punto di vista psicologico perché lavorare può offrire stimoli importanti, ma se il prezzo da pagare è perdere l’assegno di assistenza, molti si troveranno a dover rinunciare anche a piccoli incarichi e collaborazioni da free lance.
Intanto qualcosa inizia a muoversi sul fronte politico, infatti dal dicastero del Ministro del Lavoro, Orlando, emerge che la questione è all’esame degli uffici competenti, mentre l’ex ministra del Lavoro Nunzia Catalfo (M5S) ha fatto sapere che c’è l’intenzione di presentare un emendamento fiscale che possa far superare gli ostacoli posti dall’INPS.
Nel frattempo i delegati delle due assiciazioni maggiormente impegnate sul fronte dalla tutela dei diritti dei disabili, Federazione italiana per il superamento dell’handicap (Fish) e Federazione tra le associazione nazionali delle persone con disabilità (Fand) hanno incontrato il ministro per la Disabilità Erika Stefani che ha confermato l’interesse a porre fine alla questione e a tutelare i disabili. Le associazioni propongono una radicale modifica della legge 118 in modo che non vi possano essere difficoltà interpretative e che sia concessa ai disabili la possibilità di lavorare senza perdere l’assegno di assistenza.
Se vuoi saperne di più sull’assunzione di soggetti disabili, leggi la guida: Assunzione come categoria protetta: caratteristiche e informazioni