Ci sono gesti che molti di noi compiono quotidianamente e che in realtà non potrebbero essere fatti, ad esempio usare la carta bancomat di un genitore per gestire delle spese quotidiane, anche in favore dello stesso genitore. In realtà questi gesti non sarebbero ammissibili, ecco i limitati casi in cui si può usare una carta di debito/credito altrui.
La carta di credito/debito è un documento personale: vietato usare la carta di altre persone
La maggior parte delle persone oggi possiede una carta di debito, la classica carta bancomat, con cui è possibile fare prelievi ed effettuare pagamenti. L’uso della stessa, se intestata ad altri soggetti deve però essere oculato, infatti, espone al rischio di incorrere nel reato di appropriazione indebita, come nel caso di prelievo dal conto del defunto. La carta di credito/debito è un documento personale, questo vuol dire che ogni persona dovrebbe utilizzare esclusivamente la propria carta personale. La prima cosa da sottolineare è che la banca nel momento in cui concede la carta di debito/credito autorizza l’uso al solo intestatario e non ad altri soggetti. Di conseguenza è estranea al rapporto tra il suo cliente titolare della carta e il terzo.
Ad ogni conto corrente possono però essere collegate più carte di debito. Solitamente la prima è gratuita mentre le altre prevedono il pagamento di un canone mensile, proprio per questo molti vi rinunciano preferendo usare la carta di debito/credito altrui. Le carte ulteriori rispetto alla prima sono comunque di tipo personale e quindi recano un’intestazione specifica. Naturalmente tali caratteristiche espongono a problemi e dubbi. Ad esempio, è capitato spesso che recandosi presso un ufficio postale con la carta di debito di un genitore, è stato opposto dal dipendente che in realtà il pagamento non poteva essere accettato perché la carta è intestata a persona diversa rispetto a quella che stava effettuando l’operazione. Ulteriori problemi possono verificarsi quando il soggetto che ha la carta, la usa in modo indebito svuotando anche il conto. In tutti questi casi si configurano dei reati.
Uso indebito della carta di credito/debito
L’articolo da tenere in considerazione è il 55 del d.lgs 231 del 2007 che al comma 9 prevede in modo specifico tale reato, sottolineando però le caratteristiche per poter configurare tale fattispecie criminosa. Prevede che chiunque:
- al fine di trarne profitto per sé o per altri;
- utilizza indebitamente, senza esserne il titolare carte di credito o di debito;
- è punito con la reclusione da uno a 5 anni e con multa da 310 a 550 euro.
A tale articolo si aggiunge anche la disciplina del decreto legge 143 del 1991 che all’articolo 12 dispone che “chiunque al fine di trarne profitto per se’ o per altri, indebitamente utilizza, non essendone titolare, carte di credito o di pagamento, ovvero qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all’acquisto di beni o alla prestazione di servizi, e’ punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire seicentomila a lire tre milioni”.
Ammesso l’uso indiretto della carta di credito/debito altrui
Il punto da sottolineare è che per configurare il reato è necessario utilizzare la carta altrui, indebitamente, quindi senza aver ottenuto il consenso, e per trarne profitto per sé o per altri. In base a tale punto la giurisprudenza ha ammesso che non commette reato la persona che, avendo ricevuto la carta e il PIN dal legittimo titolare, utilizzi la stessa per acquisti autorizzati da questo soggetto e che siano in favore di questi.
Proprio per tale motivo generalmente quando si va ad effettuare un pagamento con la carta di un altro soggetto, ma il pagamento è riferibile al legittimo proprietario della carta, il pagamento viene accettato. Ad esempio il figlio che con la carta di debito della madre, si reca all’ufficio postale ed effettua il pagamento della bolletta energetica intestata alla madre, non ha intoppi. In questo caso si parla anche di uso indiretto da parte del titolare della carta in quanto chi effettua il pagamento agisce come longa manus dell’altra persona, ad esempio la madre impossibilitata a muoversi chiede al figlio di andare a pagare la bolletta.
Riconoscimento del debito
In realtà anche questa procedura potrebbe creare problemi in quanto in un secondo momento il titolare della carta potrebbe anche dire che in realtà lui non voleva che la bolletta fosse pagata, magari perché quel mese non aveva sufficiente liquidità. Ecco perché la procedura corretta sarebbe quella di un’autorizzazione sottoscritta dal titolare della carta per ogni pagamento/operazione, in questo modo il titolare riconosce il debito e autorizza il pagamento.
L’autorizzazione dovrebbe comunque essere concessa per la singola operazione, infatti la Corte di Cassazione con la sentenza 17453 del 2019, ha stabilito che il fatto che un soggetto consegni la carta ad un terzo e riveli anche il PIN, indicando un’operazione da compiere, non giustifica un successivo uso per altre operazioni. Di conseguenza, anche se il soggetto afferma di ritenersi autorizzato ad effettuare altre operazioni, comunque ciò non vale come esimente. Nel caso concreto l’imputato era stato querelato dal titolare della carta per l’uso indebito della stessa e si era difeso proprio affermando di avere ricevuto carta e PIN dal titolare. L’uso indebito è comunque perseguibile solo a querela di parte.
Usare la carta di credito aziendale
Un discorso analogo può essere fatto per l’uso della carta aziendale. Capita che alcuni dipendenti abbiano a disposizione la carta di debito/credito dell’azienda per effettuare, nella maggior parte dei casi, dei pagamenti correnti per conto della stessa azienda. Questi sono comunque leciti e non si può essere perseguiti per tali operazioni. Cambia, invece, la situazione nel caso in cui il dipendente effettui degli acquisti per fini privati, ad esempio se il dipendente, approfittando della custodia della carta stessa, la utilizzi per fare il pieno all’auto personale che comunque non utilizza per l’azienda. In questo caso si configura il reato di appropriazione indebita previsto dall’articolo 61 del codice penale.