Quando si decide di modificare la funzione e la finalità di un edificio, si procede al cambio di destinazione d’uso di un immobile. La pratica deve seguire una procedura ben specifica, a partire dalla richiesta di autorizzazione al Comune a livello urbanistico per poi concludere con l’aggiornamento catastale.
Cos’è la destinazione d’uso di un immobile e come si cambia
Ciascun immobile ha una sua destinazione d’uso che variano a seconda delle funzioni che lo caratterizzano: può essere residenziale, commerciale o produttiva. Tutto è correlato dalle attività che si svolgono in tale edificio che ne definiranno, per l’appunto, la destinazione d’uso.
Come già anticipato poc’anzi, si può decidere, o meglio può insorgere la necessità di cambiare la destinazione d’uso dell’immobile, ad esempio, da abitazione a negozio commerciale. Tale operazione deve seguire un iter preciso che deve essere seguito da un tecnico, in quanto la modifica deve avvenire prima a livello urbanistico e poi catastale.
Esistono edifici classificati ad uso promiscuo, laddove è riconoscibile la sua funzione principale, determinata dalla metratura impiegata per quella particolare attività.
Il cambio di destinazione d’uso è regolato dal DPR n.380/2001 (Testo Unico Edilizia), di cui l’art. 23-ter è proprio dedicato al “Mutamento d’uso urbanisticamente rilevante”.
Classificazione destinazione d’uso immobili
La normativa prevede cinque tipologie di destinazione d’uso degli immobili, ben distinte dalle categorie catastali che svolgono, invece, la funzione di classificare gli immobili attribuendogli una rendita catastale.
A prescindere dal tipo, tutte le abitazioni hanno funzione residenziale, mentre, le strutture alberghiere e similari sono assimilabili nella funziona turistico-ricettiva.
Tutti gli edifici ospitanti attività legate al mondo del lavoro possono avere una funziona produttive e direzionale o commerciale.
Nella prima categoria rientrano tutte le attività di produzione e servizi, ad esempio le banche, le aziende, gli studi professionali e similari. Della seconda categorie fanno parte tutte le attività dedicate al commercio, dal negozio al dettaglio alla grande distribuzione, e di somministrazione food and beverage, come i bar e i ristoranti.
La terza categoria è quella rurale, di cui fanno parte tutti gli immobili destinati all’agricoltura, all’allevamento e similari. In essa rientrano anche gli agriturismi.
Quando è necessario il cambio di destinazione d’uso di un immobile?
Nel caso si decida di cambiare funzionalità all’edificio, avviene il suo cambio di destinazione d’uso. Ciò vuol dire che può risultare necessario anche senza svolgere alcuna opera edilizia, A seconda della modifica apportata nella destinazione d’uso, si può definire urbanisticamente rilevante o no, dipende dal tipo di modifica che può comportare o meno il passaggio da una categoria all’altra.
Infatti, il cambio di destinazione d’uso è definito rilevante quando si ha intenzione di trasformare un negozio in un’abitazione, non lo è, invece, per la trasformazione da un bar in un ristorante.
Ma è sempre consentito cambiare la destinazione d’uso?
In tal caso, ci sono dei vincoli. Il cambio di destinazione d’uso può essere effettuato se le caratteristiche dell’immobile e del suo interno si adattano alla nuova funzione. Inoltre, è indispensabile che il regolamento e gli strumenti urbanistici comunali lo permettano.
Proprio per questi motivi, ogni caso va approfondito, in quanto non sempre è possibile realizzare il cambio di destinazione d’uso di un immobile.
Solitamente, sono gli ambienti interni ad impedire che in un determinato luogo si possa procedere con un certo tipo d’attività, essi possono riguardare l’impossibilità di rispettare le norme igenico sanitarie o i rapporti aeroilluminanti o altre caratteristiche che variano da Comune in Comune.
Spesso, sono anche i piani urbanistici del Comune a costituire un ostacolo insormontabile allo svolgimento di una determinata attività, è la ragione per cui ci si deve sempre rivolgere all’Ufficio Tecnico del Comune il cui Piano Regolatore o regolamento urbanistico pongono o meno determinati limiti funzionali ad alcune zone del territorio.
Il cambio di destinazione d’uso è ancora più complicato quando lo si richiede all’interno di un condominio dove i regolamenti sono molto rigidi. L’adeguamento degli impianti ai locali può rappresentare un altro freno, anche se, a volte, è possibile trovare una soluzione poco invasiva per aggirare l’ostacolo.
In linea di massima, sono i cambi di destinazione d’uso per un immobile da una categoria all’altra a creare maggiori problemi.
Come richiedere il cambio di destinazione d’uso
Abbiamo accennato poc’anzi, come sia necessario procedere con una pratica per ottenere il titolo edilizio opportuno quando si chiede il cambio di destinazione d’uso di un edificio. Quando si resta nella stessa categoria è sufficiente una SCIA (segnalazione certificata di inizio di attività).
Se si dovesse effettuare anche il passaggio a un’altra categoria a causa del cambio di destinazione d’uso, quindi, rilevante, anche nel caso non si debba procedere all’esecuzione di lavori edili, si rende necessario il permesso di costruire, come se il cambio costituisse un lavoro di Ristrutturazione Edilizia. Ad ogni modo e per fugare qualsiasi dubbio, visto che ogni Comune può avere un regolamento particolare, è strettamente consigliato rivolgersi all’Ufficio tecnico comunale per capire come procedere.
Quanto costa il cambio di destinazione d’uso?
L’ammontare delle spese da sostenere per un cambio di destinazione d’uso dipendono da tre fattori:
- compenso dovuto al tecnico incaricato per la gestione della pratica ed eventualmente, di progetto e lavori;
- eventuali lavori edili necessari al cambio d’uso;
- spese di segreteria per l’autorizzazione e dagli oneri di urbanizzazione, che dipendono da possibili diversi consumi dei servizi come fognature, parcheggi, ecc…
A volte, l’importo delle spese è influenzato da un quarto fattore che dipende dall’aggiornamento urbanistico e catastale. Infatti, quando si cambia di categoria l’immobile, varia quasi sempre la sua rendita catastale sulla quale si calcolano le tasse da pagare, come l’IMU.