Quanto dei contributi versati all’Inps viene in futuro restituito sotto forma di pensione? Per entrare a conoscenza di quanto sarà orientativamente la futura pensione in base agli stipendi ottenuti durante la vita lavorativa è importante far riferimento a vari strumenti che ipotizzano la prestazione previdenziale una volta che si è usciti da lavoro. L’importo della pensione futura è una stima, tanto più veritiera quanto più il lavoratore si trova in prossimità dall’uscita da lavoro. Le generazioni più giovani, infatti, hanno davanti carriere lavorative più lunghe e, pertanto, vari fattori potrebbero influire nel calcolo della pensione.
Cos’è il tasso di sostituzione delle pensioni?
Il monitoraggio della futura pensione e, dunque, la consapevolezza di quale sarà il tenore di vita (e nel caso procedere con aggiustamenti come la pensione integrativa) può essere fatto con lo strumento del tasso di sostituzione. Si tratta di un valore espresso in termini percentuali del rapporto tra l’importo della prima mensilità della pensione e l’ultimo stipendio. Per i lavoratori autonomi e i professionisti il rapporto si può esprimere con l’ultimo reddito personale percepito prima di uscire dal lavoro. Con questo indicatore è pertanto possibile stimare di quanto cambierà il reddito disponibile una volta che si andrà in pensione.
Come deve essere interpretata la pensione futura con il tasso di sostituzione?
La prima indicazione sulla futura pensione derivante dal tasso di sostituzione consiste nel fatto che tanto maggiore sarà il rapporto, tanto minore sarà l’impatto sul reddito nel momento in cui si esce dal lavoro. E pertanto, su uno stipendio mensile di 1.500 euro con un tasso di sostituzione pari al 70%, il futuro pensionato avrà un assegno di 1.050 euro al mese. Se il tasso di sostituzione scende, anche il reddito disponibile della futura pensione cala conseguentemente.
Pensione futura, quanto conta l’ultimo stipendio dei dipendenti o il reddito per gli autonomi
Il tasso di sostituzione può essere visto anche da un punto di vista opposto. Infatti, un tasso elevato non è necessariamente sinonimo di una futura pensione pesante. Tutto dipende dall’ultimo stipendio o dal reddito dei lavoratori autonomi. Se gli stipendi e i redditi infatti sono elevati, anche un tasso di sostituzione basso può garantire una pensione alta.
Tasso di sostituzione lordo e netto
Il tasso di sostituzione può essere espresso come rapporto lordo o netto. Nel primo caso si calcola con la divisione tra la prima rata di pensione al lordo delle tasse e l’ultimo stipendio, sempre al lordo di tasse e contributi. Il tasso di sostituzione netto è invece un indicatore più puntuale e utile per calcolare la disponibilità spendibile nel momento in cui si va in pensione. Infatti rapporta la prima rata di pensione e l’ultima retribuzione con valori presi al netto di tasse e contributi.
Tasso di sostituzione, come si calcola?
La determinazione del tasso di sostituzione dipende da molteplici fattori. Età, tipo di lavoro svolto ovvero da dipendente o da autonomo, andamento del Prodotto interno lordo (Pil), gli anni di versamenti di contributi, il meccanismo di calcolo della pensione (retributiva o contributiva), l’andamento della carriera lavorativa (ad esempio, periodi di disoccupazione o di vuoti contributivi o l’età di inizio del primo lavoro).
Tasso di sostituzione, meglio per un dipendente o un autonomo ai fini della pensione?
Diventa estremamente importante il calcolo del tasso di sostituzione per analizzare le pensioni future, soprattutto per le generazioni più giovani. Attualmente, il tasso di sostituzione medio riferito alla pensione di vecchiaia si attesta intorno al 70% per un lavoratore dipendente, mentre scende al 60% per un lavoratore autonomo. Il rapporto può salire all’80% per i più giovani che entrano attualmente nel mondo del lavoro purché mantengano una carriera lavorativa continua, senza buchi contributivi o periodi di inattività. Anche per un lavoratore autonomo giovane il tasso potrebbe variare fino al 70% dell’ultimo reddito da lavoro, sempre in presenza della continuità della propria attività.
Calcolo del tasso di sostituzione con alcuni esempi
Le ipotesi sopra riportate sono piuttosto ottimistiche sul calcolo del tasso di sostituzione delle future pensioni. Nella realtà entrano in gioco alcuni fattori come il Pil e gli anni di contributi che, alla lunga, si rivelano decisivi. Tassi del 70 (o anche 75%) e del 60%, rispettivamente per dipendenti e autonomi, si riscontrano in presenza di 40-42 anni di contributi versati, ma le previsioni dei prossimi anni, fatte in periodi pre-Covid, delineano un tasso di sostituzione sempre più in diminuzione. Nel 2025, in presenza di 40 anni di contributi, il tasso di sostituzione scenderà al 71,7% per i dipendenti e al 53,1% per gli autonomi.
Previsioni tassi di sostituzione e future pensioni
In linea generale, la discesa dei tassi di sostituzione in ottica delle future pensioni durerà fino al fino al 2035, anno a partire dal quale si noteranno nuovamente aumenti, seppur timidi. E tra il 2030 e il 2035 è prevista una caduta del tasso più per i dipendenti che per gli autonomi. Il valore del tasso, in ogni modo, scenderà per gli autonomi anche al di sotto della metà dell’ultimo reddito maturato prima della pensione.
Perché il tasso di sostituzione scenderà nei prossimi decenni?
Molti dei valori presi in considerazione per il calcolo del tasso di sostituzione possono definirsi ottimistici. Ad esempio, quello del Pil, stimato in crescita all’1,5% ma soggetto a variazioni, anche molto negative, come successe nei primi anni dello scorso decennio. Lo stesso valore del Pil è preso in esame nelle simulazioni del sito dell’Inps per la busta arancione. Proprio per questo motivo è possibile variare il valore del Pil (ad esempio, all’1%) per avere stime della futura pensione meno ottimistiche e più realistiche.
Scenari di pensione per i lavoratori più giovani
A fronte delle variabili che entrano in gioco nel calcolo del tasso di sostituzione, i lavoratori più giovani dovranno agire sulle cause dell’erosione delle future pensioni. Innanzitutto assicurandosi carriere lavorative continue, lunghe, con innalzamenti degli stipendi nel tempo e sperare nel buon andamento dell’economia e del Pil. Quest’ultimo fattore, infatti, incide sulla rivalutazione del montante contributivo accumulato durante la vita lavorativa. Come alternativa, c’è la possibilità di avvicinare l’età di uscita per la pensione il più possibile vicino ai 70 anni. Oltre al maggior numero di anni di contributi versati, infatti, si innalzerebbe il valore specifico del coefficiente di trasformazione, più elevato in corrispondenza di un’età più alta dell’uscita lavorativa.