La pensione superstiti, o reversibilità, è una quota di pensione che viene riconosciuta ai “superstiti” cioè ai parenti del defunto, ci sono però delle condizioni affinché si possa ottenere questo assegno e soprattutto può goderne anche l’ex coniuge. Vediamo la casistica.
Requisiti per la pensioni superstiti
La pensione superstiti, o di reversibilità, viene riconosciuta ai parenti del defunto (coniuge, ex coniuge, parte dell’unione civile, figli, in alcuni casi anche i genitori e i fratelli/sorelle), si tratta di una quota del trattamento pensionistico INPS maturata dal defunto e versata per principio solidaristico ad alcuni parenti. Viene riconosciuto sia nel caso in cui il defunto era già titolare del trattamento pensionistico, sia nel caso in cui ancora non era “pensionato”. L’ammontare dell’assegno di reversibilità dipende da numerose varianti, in primo luogo dai contributi effettivamente versati e quindi dal trattamento pensionistico effettivamente maturato, in secondo luogo dipende dal numero dei superstiti che hanno diritto a percepire l’assegno stesso.
Affinché maturi il diritto a percepire la pensione superstiti o di reversibilità devono verificarsi delle condizioni:
- il defunto deve aver versato all’INPS almeno 15 anni di contributi o, nel caso di lavoratore autonomo iscritto all’INPS, 780 contributi settimanali;
- in alternativa, deve aver versato almeno 5 anni di contributi nel periodo immediatamente precedente la morte o 260 contributi settimanali per i lavoratori autonomi.
In presenza di tali requisiti i parenti hanno diritto alla loro quota di reversibilità, ma vediamo chi sono costoro.
A quanto ammonta la quota della pensione superstiti?
La quota di reversibilità è:
- del 60% del trattamento a cui avrebbe diritto il de cuius nel caso in cui a beneficiarne sia solo il coniuge;
- dell’80% nel caso in cui con il coniuge concorra un figlio;
- 100% nel caso in cui i beneficiari siano il coniuge e almeno 2 figli.
- 15% per ogni altro familiare diverso dal coniuge o dai figli (ad esempio i genitori, fratelli e sorelle) vedremo in seguito quando tali soggetti possono ottenere la reversibilità o pensione superstiti).
Per quanto riguarda i figli si tratta di: legittimi, naturali, adottati, affiliati, in corso di riconoscimento al momento della morte, figli non riconosciuti ma che percepivano il mantenimento in vita.
Quando i figli maggiorenni possono percepire la pensione superstiti?
I figli maggiorenni possono percepire la quota di pensione superstiti solo in limitati casi:
- fino a 21 anni per coloro che frequentano la scuola media superiore di 2° grado;
- fino a 26 anni nel caso in cui frequentino l’università;
- senza limiti d’età nel caso in cui si tratti di figli inabili.
Quando i genitori e i fratelli/sorelle possono percepire la quota di reversibilità?
La quota di pensione superstiti può essere riscossa da genitori e fratelli e sorelle, in primo luogo solo nel caso in cui non ci sia concorrenza con coniugi, ex coniugi.
I genitori possono percepire tale assegno solo se hanno superato 65 anni di età, non sono titolari di un trattamento pensionistico e alla morte del figlio erano fiscalmente a suo carico.
Fratelli e sorelle possono percepire la pensione superstiti nel caso in cui non vi siano coniugi e figli, siano celibi/nubili e al momento della morte siano a carico del defunto.
Infine, possono ottenere la pensione di reversibilità anche i nipoti, ma devono essere a carico del defunto al momento del trapasso.
Per ottenere la pensione di reversibilità superstiti occorre presentare online la domanda all’INPS, è possibile inoltre avvalersi dell’assistenza di patronati e CAF.
La quota di pensione di reversibilità per l’ex coniuge
Una questione difficile da dirimere è quella inerente l’ex coniuge, infatti la legge è chiara nell’ammettere che anche costui abbia diritto ad avere una quota di pensione di reversibilità, ma solo nel caso in cui fosse titolare di un assegno di mantenimento, mentre se tale diritto non gli è stato riconosciuto, ad esempio perché gli è stata addebitata la separazione, oppure nel caso in cui avesse una situazione economica parallela o migliore rispetto al defunto o, infine, perché aveva preferito un assegno una tantum, non ha diritto all’assegno di reversibilità o pensione superstiti. Il coniuge divorziato per poter accedere alla quota di reversibilità non deve essere passato a nuove nozze. Ciò che invece non è chiaro è a quanto ammonta la quota di reversibilità se ci sono in concorso coniuge superstite ed ex coniuge?
La giurisprudenza in caso di concorrenza tra coniuge superstite ed ex coniuge
La Corte di Cassazione sul punto ha fatto una ricognizione degli elementi da valutare al fine di ripartire la quota di reversibilità con l’ordinanza 8263 del 2020. In questa ha stabilito che, tenendo in considerazione la legge 898 del 1973 che regola il divorzio e in particolare gli articoli 9 e 5, per ripartire le quote della reversibilità tra più coniugi è necessario tenere in considerazione:
- la durata del rapporto di coniugio;
- le condizioni dei coniugi;
- entità dell’assegno di mantenimento di cui era titolare l’ex coniuge;
- durata delle convivenze pre-matrimoniali ( già tenuta in considerazione dalla Corte di Cassazione nella sentenza 5268 del 26 febbraio 2020). Deve però essere precisato che la sentenza della Suprema Corte 26358/2011 precisa che deve trattarsi di convivenza stabile ed effettiva);
- la differenza di età tra il coniuge superstite e il coniuge divorziato in quanto questa incide anche sulla capacità lavorativa delle parti;
- il contributo personale dato da ciascun coniuge alla conduzione familiare ( in particolare deve essere tenuto in considerazione quanto ciascun coniuge abbia contribuito alla crescita del patrimonio familiare).
Corte di Cassazione: è importante evitare paradossi
Secondo la Corte di Cassazione nel determinare la quota di reversibilità per l’ex coniuge si deve evitare di cadere nel paradosso e cioè riconoscere una quota che sia del tutto inadeguata a sopperire alle più elementari esigenze di vita, inoltre si deve evitare che la quota di pensione superstiti sia sproporzionata rispetto all’assegno di mantenimento di cui godeva in precedenza. La Corte inoltre ribadisce che deve essere data rilevanza anche alla convivenza more uxorio verificatasi, nella controversia oggetto di sentenza, dopo la separazione dall’ex coniuge, ma prima che fosse pronunciata la sentenza di divorzio e questo perché in tale frangente temporale si era già manifestata la volontà del defunto di sostenere economicamente la persona che poi sarebbe diventata coniuge. La convivenza prematrimoniale secondo l’orientamento della Corte di Cassazione ha la funzione di correttivo nel determinare in modo adeguato le spettanze del coniuge e dell’ex coniuge.