Distribuire utili in nero ai soci di una società costituisce un reato, questo perché i redditi devono essere tassati e “far sparire” degli utili senza dichiararli, sottrae quote di imponibile, ma vediamo nel dettaglio cosa si rischia nel caso di distribuzione in nero di utili ai soci.
Come avviene la distribuzione degli utili ai soci
Nelle società di capitali vi è una netta separazione tra il patrimonio della società e quello dei soci, ne deriva che per dividere gli utili è necessaria una delibera dell’assemblea che stabilisce anche l’ammontare degli utili da dividere, tenendo comunque in considerazione i limiti previsti da legge. Ad esempio l’articolo 2430 del codice civile stabilisce l’obbligo di accantonare la riserva legale in misura del 5% degli utili fino al raggiungimento di una somma pari al 20% del capitale sociale.
La divisione degli utili subisce dei limiti anche nel caso in cui negli esercizi precedenti siano state registrate delle perdite, oppure ci siano in circolo delle obbligazioni societarie il cui ammontare è superiore al doppio del capitale sociale. Questi sono solo alcuni limiti. Gli utili societari vengono quindi tassati sia attraverso l’IRES, sia attraverso l’IRAP, ciò che resta può essere oggetto di divisione in favore dei soci però, nel momento in cui rientrano nella disponibilità dei soci, sono nuovamente tassati.
In questo caso, per gli utili prodotti fino al 2018, occorre differenziare tra soci con partecipazione non qualificata, cioè inferiore al 25% e soci con partecipazione qualificata. Nel primo caso al momento della distribuzione vi è un’imposizione sostitutiva al 12,5%, mentre nel secondo caso la tassazione va a sommarsi al reddito complessivo dichiarato dalla persona. In particolare si somma all’imponibile una quota pari al 49,72% dell’utile, questi importi si sommano agli altri redditi e si applica un’aliquota IRPEF che dipende dalla propria fascia di reddito. Questo per i redditi prodotti fino al 2018, per i redditi successivi si applica solo l’aliquota al 26% sia per le partecipazioni non qualificate, sia per quelle qualificate.
Per saperne di più sulla divisione degli utili leggi la guida: Ripartizione utili ai soci: come si dichiarano e come sono tassati.
Distribuzione in nero di utili ai soci
Questa è la situazione normale, mentre si è in una condizione patologica nel caso in cui una quota di utili sia oggetto di distribuzione in nero ai soci, al verificarsi di ciò è evidente che si è di fronte a un’evasione fiscale, trattata come tutti gli illeciti simili e cioè sanzionata, naturalmente è l’amministrazione finanziaria che deve occuparsi di scovare queste tasche di evasione fiscale, tranne i casi in cui trovino applicazione dei condoni fiscali e quindi ci sia una “autodenuncia”.
Per chi evade le imposte è prevista l’applicazione di sanzioni e interessi sugli importi dovuti, inoltre può configurarsi anche un reato penale.
Se vuoi conoscere le conseguenze di tale reato, leggi l’articolo: Reato penale di evasione fiscale: quando si verifica
Ciò che per l’amministrazione tributaria è sempre stato difficile è trovare tale evasione e provarla, proprio per questo nelle società a base ristretta, in particolare se la stessa è caratterizzata dalla presenza di persone con rapporto di parentela e coniugio, la giurisprudenza costante applica il principio di presunzione di divisione degli utili extracontabili ai soci, in questo modo riesce a recuperare le somme evase in modo semplice. Questo perché la ristrettezza della base sociale, soprattutto se formata da persone con rapporto di parentela, fa presumere, secondo la giurisprudenza, la conoscenza dell’esistenza di questi utili e quindi la complicità della divisione degli stessi in nero.
Naturalmente devono esservi dei presupposti per l’applicazione di questo principio e in particolare, nel caso in cui vi siano degli utili extra-contabili accertati, l’amministrazione finanziaria ritiene che gli stessi siano stati divisi tra i soci e di conseguenza invia l’avviso di accertamento ai singoli soci. Non solo, la giurisprudenza recente, con l’ordinanza 25501/2020 della Corte di Cassazione ha ravvisato la divisione degli utili in nero nel caso di recupero di costi inesistenti.
Come dimostrare l’assenza di distribuzione in nero di utili ai soci
L’applicazione di tale presunzione trova mitigazione nel principio secondo il quale i soci possono dimostrare l’assenza di tale divisione degli utili. Sappiamo però tutti che l’onere della prova contraria è abbastanza difficile da assolvere. Il contribuente potrebbe, ad esempio, dimostrare che in realtà gli utili hanno costituito investimenti nella stessa società e quindi non sono oggetto di distribuzione, oppure che costituiscono accantonamenti. Infine, il contribuente che riceve l’avviso di accertamento può dimostrare di essere in realtà estraneo alla gestione della società stessa.
La dottrina in verità ha sempre nutrito molti dubbi sulla prassi di presumere la divisione in nero di utili ai soci in presenza di utili extracontabili e la giurisprudenza negli ultimi anni sta dimostrando di sposare almeno in parte le titubanze della dottrina. Un punto molto controverso è la nozione di piccola società, o società con base ristretta in quanto il legislatore non ha fornito mai una definizione certa di tal “società”, quindi diventa importante capire quale possa essere il limite della definizione, in genere si ritiene che quando i soci non superano il numero di 5 persone si è di fronte a una società di capitali di piccola dimensione, ma è un criterio che non ha una reale base legislativa e questo può generare confusione e trattamenti differenti in situazioni similari.
La giurisprudenza
Qualche piccolo passo in senso contrario rispetto a tale presunzione di divisione degli utili ai soci in nero inizia quindi a vedersi, infatti la Corte di Cassazione in alcuni casi ha sottolineato che la ristretta base societaria è sicuramente un elemento che può far supporre una divisione in nero con conseguente evasione fiscale, ma da sola non è condizione sufficiente per un avviso di accertamento. Di conseguenza l’amministrazione finanziaria deve attivarsi al fine di trovare altri elementi presuntivi che, uniti alla ristretta base societaria, possano dimostrare che vi è stata questa occultazione di redditi. La Corte suggerisce che un elemento probatorio possono essere le movimentazioni sul conto corrente della società e in favore dei soci, oppure acquisti immobiliari equivoci.
Questo filone giurisprudenziale comprende l’ordinanza 923 del 20 gennaio 2016 in cui la Corte di Cassazione sottolinea che, se il contribuente prova attraverso estratti dei movimenti bancari che non vi sono flussi di reddito anomali, spetta all’amministrazione finanziaria fornire ulteriori prove che possano corroborare la tesi che vi sia stata una distribuzione in nero di utili ai soci.
Il caso concreto
Molto importante per il tema affrontato è l’ordinanza della Corte di Cassazione 18042 del 2018. In questo caso un neuropsichiatra risulta socio di un’attività di ristorazione insieme al figlio, in base a ciò l’amministrazione finanziaria emette un avviso di accertamento per il riscontro di utili in nero. Il professionista ha contrastato tale posizione affermando di essere in realtà estraneo a tale attività in quanto impegnato nella sua professione che si svolge in tutt’altro settore. Il professionista ha ammesso movimento di denaro dal suo conto verso quello della società, ma questo non dimostra una partecipazione attiva nella società, ma semplicemente degli aiuti economici verso il figlio nell’avviare l’attività stessa. La Corte di Cassazione ha sposato tale tesi invalidando quindi l’avviso di accertamento.
Si evince da questa breve disamina che negli ultimi anni vi è una sorta di inversione di tendenza e ricade sull’amministrazione finanziaria dare una prova concreta della distribuzione in nero di utili ai soci attraverso indizi che siano precisi e concordanti, non basandosi esclusivamente sulla presenza di utioli extra-contabili e base sociale ristretta.