Quando si parla di dovere di mantenimento ai figli, sorgono sempre molti dubbi e perplessità, infatti la normativa non prevede un limite di età preciso entro il quale i figli devono rendersi economicamente indipendenti e quindi, in base alle circostanze, il giudice può di volta in volta valutare se gli spetta l’assegno di mantenimento. Recentemente la Corte di Cassazione con l’ordinanza 23318 del 2021 ha riconosciuto il diritto al mantenimento per una figlia di 26 anni che ha lasciato il lavoro per iscriversi nuovamente all’università. Ecco quando vige l’obbligo di mantenimento per i figli che lasciano il lavoro.
Il caso
Nel caso che ci riguarda, e che di sicuro è destinato a far discutere molto, i genitori sono separati e a carico del padre è previsto un assegno di mantenimento in favore della figlia di 26 anni che ha deciso, dopo un breve periodo di lavoro, di tornare all’università. L’assegno da corrispondere è di 600 euro mensili, a cui si aggiungono 4/5 delle spese straordinarie dalla stessa effettuate. Il padre propone ricorso avverso tale decisione in quanto la figlia aveva inizialmente lasciato gli studi e aveva ottenuto un lavoro retribuito con 1200 euro mensili, inoltre aveva la disponibilità di un alloggio gratuito vicino al luogo di lavoro.
Il padre basa il suo ricorso anche sul fatto che la figlia ben avrebbe potuto riprendere gli studi senza lasciare il lavoro e quindi poteva mantenere l’indipendenza economica, infatti secondo il padre avrebbe potuto iscriversi all’università avente sede vicino al luogo di lavoro, invece aveva preferito iscriversi presso una sede ubicata lontano. In questa stessa sentenza il giudice afferma che può essere rivisto l’assegno per l’ex coniuge nel caso in cui questo rifiuti di trasformare il rapporto di lavoro da part time a full time.
Perché i figli che lasciano il lavoro devono essere mantenuti
Nonostante tali motivazioni, la Corte di Cassazione con l’ordinanza 23318 del 2021 ha confermato l’obbligo per il padre di provvedere al mantenimento della figlia che decide di lasciare il lavoro per iscriversi all’università. L’ordinanza in oggetto è importante perché vengono precisati gli elementi che devono essere tenuti in considerazione per decidere.
Nel caso in oggetto il primo elemento valutato è la giovane età della ragazza che, sebbene non abbia intrapreso gli studi universitari appena dopo il liceo, cosa che avviene solitamente, ha una giovane età da cui si può presumere che il percorso di studi possa essere affrontato in modo proficuo.
Il secondo elemento considerato è il comportamento della ragazza che è sempre stata responsabile e di conseguenza il ritorno tra i banchi dell’università non deve essere considerato un capriccio. A ciò si aggiunge che il lavoro che la stessa aveva trovato nello staff di un albergo, non era all’altezza della aspettative e aspirazioni della ragazza. Infine, nello stabilire se il figlio ormai maggiorenne che decide di lasciare il lavoro per tornare all’università ha diritto al mantenimento, devono essere tenute in considerazione anche le condizioni economiche delle parti. In questo caso il padre, ricorrente, percepisce una retribuzione di 4.400 euro mensili e ha la disponibilità di un alloggio.
I presupposti dell’ obbligo di mantenimento ai figli che lasciano il lavoro
La Corte sottolinea che l’obbligo di mantenimento per i figli che lasciano il lavoro persiste solo nel caso in cui si riesca a provare che il mancato raggiungimento dell’indipendenza economica è dovuto a fatto imputabile al figlio che, pur essendo stato posto nelle condizioni di avere un lavoro all’altezza delle sue aspirazioni e potenzialità, non si adopera. Mentre devono essere valutati positivamente altri fattori, tra cui:
- età;
- aspirazioni;
- livello di competenze tecniche e professionali acquisito;
- impegno profuso;
- e“più in generale, della complessiva condotta personale da lui tenuta dal momento del raggiungimento della maggiore età ”.
La Corte di Cassazione ha rilevato che il comportamento della ragazza non deve essere considerato “sintomo di un ingiustificato rifiuto di rendersi economicamente indipendente, ma della volontà di impegnarsi attivamente per condurre a termine gli studi e trovare un’occupazione più confacente ai propri interessi”. Il percorso di studi scelto infatti, facoltà di psicologia, ha poca attinenza con l’impiego presso un albergo.
Il giudice sottolinea inoltre che, vista la breve durata del rapporto di lavoro della ragazza presso l’albergo, comunque non poteva essere considerata raggiunta l’indipendenza economica. A ciò deve essere aggiunto che la scelta di ritornare all’università deve essere considerata in linea con il livello socio -culturale della famiglia, mentre il breve periodo di lavoro deve essere ritenuto “parentesi in una fase dell’esistenza ancora dedicata alla formazione”.
Le inclinazioni e aspirazioni del figlio devono essere rispettate
La Corte di Cassazione precisa anche il perché il padre non poteva richiedere alla figlia di iscriversi a una facoltà vicino al suo luogo di lavoro e di continuare attività lavorativa e di formazione. Afferma che gli articoli 147 c.c. e art. 315-bis c.c pongono a carico dei genitori di istruire, educare e mantenere i figli, ma nel rispetto delle loro inclinazioni naturali, aspirazioni, delle loro capacità e non dei desideri dei genitori e quindi “senza forzarlo ad accettare soluzioni indesiderate”. Appare evidente quindi che i genitori non possono intervenire in tali scelte, anche e soprattutto se per il loro tenore di vita possono permettersi di dare ai figli gli strumenti per realizzare tali ambizioni e aspirazioni.