Abbiamo visto in un precedente articolo, come per un procacciatore d’affari occasionale sia possibile operare in assenza di una partita IVA, in caso dei mancati requisiti richiesti. Diversamente, in questa informativa vogliamo parlare di quanto costa e come aprire una partita IVA per procacciatore d’affari.
Brevemente, ripercorriamo insieme la figura del procacciatore d’affari, chi è e di cosa si occupa.
Cosa fa un procacciatore d’affari?
Il procacciatore d’affari opera nel settore commerciale, il suo compito è di mettere in contatto chi propone un servizio o un prodotto con possibili clienti interessati e, dunque, potenziali acquirenti. Tutto questo, a prescindere dalla tipologia di prodotti o servizi offerti: egli può mettere in contatto un fornitore con un distributore, un costruttore con un investitore immobiliare e via discorrendo.
Il procacciatore d’affari occasionale non è obbligato all’apertura della partita IVA, a meno che, non subentri il requisito reddituale e la modalità di lavoro continuativa e non più sporadica. In tal senso, il freelance diventa a tutti gli effetti un lavoro autonomo titolare di partita IVA, quindi, inquadrato come commerciante. In quanto tale, sarà tenuto al versamento delle tasse e a quello dei contributi previdenziali, inoltre, al rispetto delle regole imposte dal regime fiscale scelto. Ma prima di entrare nel vivo degli aspetti fiscali quanto contributivi, occorre fare una distinzione tra tre figure professionali che, per certi versi, potrebbero essere visti come similari.
Differenza tra procacciatore d’affari, mediatore e agente di commercio
Partiamo dalla figura professionale più nota, l’agente di commercio. Egli opera spesso nel mercato per conto di una o più aziende, quindi in modo diretto. Ma spesso, può operare anche indirettamente, ossia su mandato di un’agenzia. Solitamente, l’agente si occupa di proporre e vendere prodotti a rivenditori al dettaglio ma anche ad altri esercizi aperti al pubblico.
L’agente di commercio svolge la propria attività in modo continuativo, seguendo uno stesso contratto anche per molto tempo, quasi sempre con il vincolo di esclusività nei confronti del datore di lavoro. Pur rimanendo un lavoratore autonomo possessore di partita IVA, capita di sovente che l’agente possa lavorare per la stessa azienda per un periodo prolungato nel tempo.
Il procacciatore d’affari, invece, è più concentrato su singole trattative, in quanto è spesso richiesta la sua presenza in situazioni particolari o che riguardano beni di grande valore, come automobili di lusso. Il suo rapporto con l’azienda non è lungo, dura il tempo che serve e il contratto con cui opera ha spesso minori tutele, ad esempio: non è previsto a fine contratto il TFR.
Il vantaggio che il procacciatore d’affari ha sull’agente di commercio, sta nella facoltà di non seguire necessariamente le direttive di un datore di lavoro, di non essere, più anche altro, soggetti a rispettare degli orari o turni di lavoro, a vincoli di zona territoriali e soprattutto non subiscono il vincolo dell’esclusività. D’altronde, il compito del procacciatore d’affari è mettere in contatto le due parti, senza occuparsi della finalizzazione della vendita né della sottoscrizione di alcun contratto.
Il mediatore opera nel settore del commercio, ma si concentra sulle trattative, in quanto il suo compito è trovare una soluzione economica o contrattuale che possa soddisfare entrambi le parti.
Le differenza tra le tre suddette figure, sono evidenti non solo dal tipo diverso di attività svolta, almeno per quanto concerne la sua conduzione e finalizzazione, ma soprattutto dall’inquadramento fiscale e contributivo, nel quale gli obblighi da rispettare sono diversi. Ad esempio, l’agente di commercio è tenuto ad iscriversi all’ENASARCO, mentre il procacciatori d’affari solo alla Gestione Commercianti dell’INPS.
Procacciatore d’affari e apertura partita IVA
Come già ampiamente parlato nell’articolo inizialmente citato, il procacciatore d’affari in presenza di determinati requisiti (continuità e di reddito) è costretto ad aprire una partita IVA. Per farlo, egli deve effettuare la procedura tramite ComUnica, che avverte tutti gli enti, come l’INPS o la Camera di Commercio. Se ci sono le giuste conoscenze e competenze, si può procedere autonomamente alla scelta del Codice ATECO che identifica il tipo di attività e il settore di riferimento in cui vuole operare il procacciatore d’affari, così come vale per qualunque lavoratore che decide di avviare una propria attività commerciale.
Senza perderci in chiacchiere e in elenchi infiniti, possiamo anticipare che il codice ATECO per Procacciatori d’affari di vari prodotti senza prevalenza di alcuno è il 46.19.02. Dal codice ATECO, dipende il coefficiente di redditività o le regole da seguire per i contributi previdenziali dell’attività.
Il regime fiscale del procacciatore d’affari
Dovendo svolgere la propria attività come titolare di partita IVA, il procacciatore d’affari dovrà scegliere sin da subito quale regime fiscale adottare: forfettario, ordinario in contabilità semplificata od ordinaria. La differenza operata nella scelta dipenderà dal reddito conseguito. Nel regime forfettario si basa sul coefficiente di redditività, nel regime ordinario è determinato dai ricavi meno i costi sostenuti.
Come funziona il regime forfettario
Quando il procacciatore d’affari è in possesso di tutti i requisiti richiesti, tra cui un reddito percepito fino a 65.000 euro, il regime forfettario è certamente la scelta migliore da effettuare. Le tasse pagate dal lavoratore in questione corrispondono, come per tutte le altre categorie di ditte individuali che adottano tale regime, il 15% delle tasse, che scende al 5% per i primi cinque di attività in caso di start-up, sempre che la stessa attività non sia stata svolta nei tre anni precedenti l’apertura della partita IVA.
Come già accennato, il procacciatore d’affari dovrà conoscere il proprio coefficiente di redditività derivante dal codice ATECO di appartenenza. La percentuale rimanente costituirà un importo forfettario delle spese sostenute per l’attività. A questo punto, il lavoratore in questione dovrà moltiplicare i compensi lordi ricevuti per tale coefficiente e applicare l’imposta dovuta del 15% o del 5% per conoscere l’entità delle tasse da pagare.
Nel regime forfettario la fatturazione elettronica non è obbligatoria, pertanto, può essere emessa una ricevuta cartacea con una marca da bollo pari a 2 euro per compensi superiori a 77,47 euro.
Il regime ordinario in contabilità semplificata
Il procacciatore d’affari che non è in possesso dei requisiti richiesti per accedere al regime fiscale forfettario, dovrà optare per quello ordinario in contabilità semplificata. In tal caso, il reddito sarà conteggiato sulla differenza tra ricavi meno spese. Sul risultato verrà applicata la percentuale IRPEF a seconda dello scaglione di appartenenza. Inoltre, il lavoratore sarà soggetto ad IVA.
Come funziona il regime ordinario
Il regime ordinario in contabilità ordinaria, riguarda solo il procacciatore d’affari, così come per tutte le altre imprese, che avrà superato il limite dei 400.000 euro annui per le attività di prestazione di servizi, che salgono a 700.000 per le altre attività. In tal caso, la scelta è obbligata.
Iscrizione alla Gestione Commercianti INPS
Come già detto in precedenza, il procacciatori d’affari non è tenuto all’iscrizione all’ENASARCO, ma solo alla Gestione Commercianti INPS. I contributi da versare saranno misti, fissi entro un certo reddito (3.900 euro circa su 15.548); variabili a seconda del fatturato con aliquota variabile in base all’età sulla quota di reddito eccedente.
I costi della partita IVA per procacciatori d’affari
- Le imposte pari al 15% o al 5% (se ci sono le condizioni), del reddito lordo a cui sottrarre il 38% delle spese;
- I contributi fissi più quelli variabili.