Quando si lavora in azienda è possibile che il datore di lavoro disponga per il lavoratore delle trasferte fisse e occasionali, queste però sono sottoposte a un particolare regime fiscale, sebbene occorra fare delle precisazioni. Si cercherà in questa guida di dare un quadro esaustivo tenendo in considerazione anche le sentenze emesse su tale materia che spesso è oggetto di controversie interpretative.
Trasferte fisse e occasionali: differenze
La prima cosa da fare è definire la trasferta: si tratta di un trasferimento temporaneo del lavoratore presso una sede che non è la sua abituale, quindi temporaneamente la prestazione lavorativa viene eseguita in una sede diversa.
Solitamente la scelta della trasferta è dovuta a motivi logistici, ad esempio deve essere avviata una nuova sede e quindi un dipendente della sede principale viene temporaneamente spostato in modo da fare da tutor ai nuovi membri dell’azienda. Può inoltre capitare che in una sede un dipendente fondamentale sia in vacanza e debba essere necessariamente coperto, in questi casi si può parlare di trasferta. Gli elementi caratteristici della trasferta sono: eccezionalità, occasionalità e precarietà della permanenza nella nuova sede. In presenza di questi tratti caratteristici si può applicare l’articolo 51 del TUIR (Testo Unico Imposte sul Reddito) il quale stabilisce delle particolari agevolazioni fiscali.
Il comma 5 dell’articolo 51 si occupa delle trasferte occasionali e stabilisce che le indennità percepite per esse non concorrono alla formazione del reddito se non nella parte eccedente i 46,48 euro giornalieri se la trasferta è in Italia e 77,47 euro se la trasferta è all’estero. Tali importi sono al netto delle spese di vitto e alloggio che possono essere rimborsate applicando il principio analitico, quindi il lavoratore fornisce scontrini, in modo forfettario o misto.
Il comma 6 dello stesso articolo si occupa delle trasferte fisse o abituali e stabilisce invece che “le indennità e le maggiorazioni di retribuzione spettanti ai lavoratori tenuto per contratto all’espletamento delle attività lavorative in luoghi sempre variabili e diversi, anche se corrisposte con carattere di continuità[…]concorrono a formare il reddito nella misura del 50% del loro ammontare”.
Contributi per trasferte fisse e occasionali
Un discorso a parte deve essere fatto per i contributi, infatti il datore di lavoro non sempre deve pagare i contributi previdenziali per la trasferta. Il datore di lavoro, nel caso in cui sia disposta una trasferta occasionale non è tenuto al pagamento dei contributi INPS e INAIL sulle somme versate.
Devono però essere fatte delle differenze, infatti le agevolazioni ora viste non si applicano nel caso in cui il dipendente possa essere qualificato come “trasfertista”. Il trasfertista è colui che abitualmente deve spostarsi verso diverse sedi di lavoro. In questo caso non si può parlare di un’indennità di trasferta vera e propria piuttosto di un elemento costante della busta paga e di conseguenza al lavoratore gli importi sono tassati, mentre il datore di lavoro su tali somme deve erogare i contributi previdenziali e assistenziali.
Sentenze della Corte di Cassazione
Il trasfertista può essere inquadrato nella disciplina del comma 6 dell’articolo 51, di conseguenza gli emolumenti devono essere tassati tenendo in considerazione proprio tale disposizione. Chiarezza sul punto viene fatta dalla Corte di Cassazione con la sentenza del 15 novembre 2017 n°27093.
La sentenza ha ad oggetto il caso di un’impresa che si occupa della realizzazione di impianti, la stessa abitualmente ha lavoratori in trasferta e corrisponde la relativa indennità con rimborsi spese. D’altronde, nel caso in cui gli operai lavorano nell’arco di 20 km dalla sede della ditta, la ditta non versa tale indennità. Questo trattamento fa pensare appunto a trasferte occasionali e in virtù di questo si applica il comma 5 dell’articolo 51 del TUIR e di conseguenza gli emolumenti non si considerano come redditi e di conseguenza il datore di lavoro su tali somme non versa i contributi previdenziali e assistenziali e le somme non sono considerate ai fini del calcolo del TFR .
Trattamento contributivo delle trasferte abituali
La Corte di Cassazione però ha applicato una interpretazione diversa stabilendo invece che nel caso concreto doveva essere applicato il comma 6. Ciò perché nel caso concreto si è di fronte all’ipotesi di “lavoratori subordinati destinati a svolgere sistematicamente e professionalmente la propria attività quasi interamente al di fuori dalla sede aziendale”, di conseguenza non si può parlare di trasferta in senso proprio e vi è una base contrattuale differente.
Nel caso della trasferta occasionale infatti vi è una decisione unilaterale del datore di lavoro che, per esigenze organizzative “eccezionali” , trasferisce il dipendente per un periodo che può essere anche “lungo”, mentre nel caso del trasfertista abituale, già il contratto prevede questa “mobilità”. Da ciò discende che gli emolumenti devono essere considerati retribuzione e devono essere ricompresi anche nella base del TFR. La stessa sentenza stabilisce quindi che per la parte del compenso considerata retribuzione devono essere calcolati anche gli oneri contributivi.
La giurisprudenza sulla natura degli emolumento per il trasfertista
Deve essere sottolineato che non sempre la giurisprudenza in passato era allineata sulla posizione poc’anzi citata, ma ora l’orientamento sembra essere consolidato, infatti l’ordinanza 14047 del 2020 emessa dalla Corte di Cassazione è dello stesso tenore. Questa ribadisce che nel caso in cui la sede di assunzione costituisce un mero riferimento per la gestione burocratica del rapporto di lavoro, l’indennità di trasferta non può essere assoggettata alla disciplina del comma 5 del TUIR.
La sentenza definisce la natura delle indennità e afferma: “normalmente essa comporta un maggior disagio, che deve essere appositamente compensato, sicché la relativa indennità generalmente ha una duplice funzione, risarcitoria o meglio restitutoria delle maggiori spese sopportate nell’interesse del datore di lavoro, e retributiva del maggior disagio”. Proprio da tale natura deriva il duplice inquadramento anche dal punto di vista fiscale e contributivo. La stessa ordinanza precisa che questa disposizione deve essere applicata anche ai lavoratori cantieristi che per la natura stessa del lavoro sono destinati a spostarsi in modo abituale.