Oggi andremo a scandagliare quella fase di inattività lavorativa, dovuta alla malattia del dipendente, per scoprire come separare le ferie dal comporto quando il lavoratore si ritrova a condividere lo stesso periodo di inattività.
Periodo di comporto, di cosa si tratta
Quando si parla di periodo di comporto ci si riferisce al periodo di tempo massimo concesso al dipendente in malattia per non essere licenziato. Si tratta in sostanza di quel numero massimo dei giorni di assenza accettati prima che possa scattare il licenziamento del dipendente.
Se non viene superato questo tempo limite non si potrà essere licenziati, anche se le assenze del dipendente sono state a macchia di leopardo (come per esempio, un giorno si e due no). Naturalmente, a patto che la malattia sia realmente esistente, ed il dipendente si faccia trovare alle visite fiscali e non ritardi la guarigione con comportamenti colpevoli.
Fatte le dovute eccezioni, ed ulteriori disposizioni in particolari contratti di lavoro, la legge regolamenta la durata del comporto solo per gli impiegati, differenziandola in relazione all’anzianità di servizio del lavoratore
- 3 mesi, quando l’anzianità di servizio non supera i dieci anni;
- 6 mesi, quando l’anzianità di servizio supera i dieci anni.
Comporto e ferie, come si interrompe?
La domanda più frequente è se si possono collegare le ferie alla malattia, quindi i giorni di ferie a quelli del comporto.
Secondo la sentenza della Cassazione, la risposta è sì. Difatti il datore di lavoro non può impedire al dipendente di interrompere la malattia con le ferie.
Ciò va a significare, in termini pratici e sintetici, che il periodo di comporto può essere interrotto dalla richiesta del lavoratore di godere delle ferie già maturate. Quindi, la richiesta dovrà essere scritta, con indicato il momento dal quale si intende convertire l’assenza per malattia in assenza per ferie, ed essere presentata tempestivamente, prima che scada il periodo di comporto.
Avvenuto ciò, il datore di lavoro dovrà tenere in considerazione l’interesse del lavoratore al posto di lavoro, ma non avrà l’obbligo di convertire d’ufficio l’assenza per malattia in ferie. In altre parole, si può ben dire che non è previsto l’automatico prolungamento del periodo di comporto per un tempo corrispondente ai giorni di ferie non goduti se il dipendente non fa una esplicita richiesta e questa non viene accolta. Tuttavia, il rigetto deve essere adeguatamente motivato, cosa non sempre facile per il datore di lavoro.
Ma come si calcolano i giorni di malattia? E cosa accade se si superano?
Premesso che si abbiano 180 giorni di malattia, quindi i tre mesi citati poco sopra, con una anzianità bassa, vediamo come si calcolano.
Il calcolo avviene partendo dal primo giorno di inizio di malattia o comunque cumulando nell’anno solare i periodi di malattia inferiori a 180 giorni. Ai fini del calcolo per la determinazione del periodo di comporto, per anno solare si intende un periodo di 365 giorni partendo a ritroso dell’ultimo evento morboso. Quindi, il calcolo dal primo all’ultimo giorno in cui il dipendente si è dichiarato ammalato (e assente sul lavoro) nell’arco dei 365 giorni dal primo giorno di assenza.
Ma cosa accade, col rischio licenziamento, quando si supera il limite di comporto?
Ecco, tenendo conto dell’alto rischio di licenziamento, la certezza è che scatta l’aspettativa non retribuita.
L’aspettativa non retribuita, detta anche comunemente congedo, non è altro che un periodo di sospensione del rapporto di lavoro durante il quale il datore di lavoro è esonerato dal versamento della retribuzione al dipendente e quest’ultimo non deve recarsi al lavoro. Un periodo in cui il datore può quasi certamente passare alla fase successiva del licenziamento del lavoratore.
Questo, dunque, è quanto di più utile e necessario vi fosse da sapere in merito alla questione del periodo di comporto per un dipendente che si mette in malattia