Nel mondo del no profit spesso si fa leva sul supporto di attivisti e di volontari che danno una mano al fine di permettere ad un’associazione di perseguire il proprio scopo sociale. Pur tuttavia, molte realtà associative hanno bisogno pure di persone che, anche se in modo non continuativo e non abituale, possano esercitare delle attività di lavoro autonomo senza alcun vincolo di subordinazione. Per esempio, considerando un’associazione culturale, quali compensi si devono riconoscere ai collaboratori? E, soprattutto, come inquadrarli ai sensi di legge?
Quali compensi riconoscere ai collaboratori di un’associazione culturale?
Al riguardo c’è da dire, prima di tutto, che in generale nulla vieta alle realtà associative di avere lavoratori dipendenti e collaboratori. Così come, per esempio, nulla vieta ai volontari ed agli attivisti di riconoscere loro dei rimborsi spese. A patto che siano debitamente documentate.
Detto questo, concentrando l’attenzione sui collaboratori, per un’associazione culturale non ci sono restrizioni sulla possibilità di attivare dei rapporti di lavoro. L’importante è che il tutto avvenga sempre nel pieno rispetto della legge.
Di conseguenza, pure per un’associazione culturale un collaboratore può per esempio fornire delle prestazioni lavorative di natura occasionale per un massimo di 30 giorni nell’anno solare. E nel rispetto del limite di un corrispettivo annuo non superiore ai 5.000 euro. Altrimenti a scattare sarà l’iscrizione all’INPS.
Che si tratti di rimborsi spese, di compensi ai collaboratori, o di stipendi ai dipendenti, quindi, pure un’associazione culturale è chiamata ad adeguarsi a quelle che sono le vigenti normative sui rapporti di lavoro.
Come pagare i compensi ai collaboratori nel mondo del no profit
Per pagare i compensi ai collaboratori nel mondo del no profit, per gli incarichi assegnati, in genere la soluzione migliore, anche per un’associazione di tipo culturale, è quella di passare dall’approvazione da parte del Consiglio Direttivo tramite apposito verbale.
Il collaboratore, inoltre, deve percepire sempre un compenso che sia in linea ed anche proporzionale all’attività svolta. Altrimenti si può prefigurare il sospetto di una distribuzione indiretta degli utili. Cosa che un’associazione culturale non può assolutamente fare in quanto deve sempre operare al di fuori di scopi e di fini di lucro.
Anche per questo, e non solo, un’associazione culturale che è strutturata anche con dipendenti e collaboratori dovrebbe sempre rapportarsi con un commercialista o con un consulente del lavoro, esperto nel terzo settore, ai fini di un corretto inquadramento a livello fiscale, contributivo ed anche giuridico. Anche perché in un’associazione culturale, e per tante realtà del no profit, il lavoro volontario, e quello retribuito in maniera forfettaria, dovrebbe essere sempre e comunque preponderante rispetto al lavoro che, invece, è stipendiato.
Quindi, quando un’associazione culturale eroga degli specifici compensi per attività che sono connesse e finalizzate a perseguire lo scopo sociale, questi devono essere sempre riportati nel rendiconto annuale. Indicando peraltro in maniera esplicita i parametri quantitativi che hanno portato all’erogazione di un determinato compenso. E questo anche al fine di evitare poi eventuali contestazioni sulla normativa che è collegata alle attività degli enti no profit ed in generale per le realtà associative del terzo settore.