L’articolo 2125 del codice civile ha una formulazione chiara e determina le cause di nullità del patto di non concorrenza. Nonostante questo, le interpretazioni giurisprudenziali sono state diverse, ecco qualche chiarimento che può aiutare a capire come stipulare un patto di non concorrenza senza cadere nel rischio di nullità.
Il patto di non concorrenza
Il patto di non concorrenza è un accordo tra il datore di lavoro e il lavoratore che limita la libertà del lavoratore in seguito alla cessazione del rapporto di lavoro. Con questo accordo il lavoratore rinuncia a porre in essere attività lavorative che siano in concorrenza con quelle del datore di lavoro, inoltre si impegna a evitare di portare via la clientela all’ex datore di lavoro e a non divulgare l’insieme di conoscenze prettamente correlate all’attività svolta. Si parla anche di patrimonio immateriale dell’azienda. Naturalmente il contenuto concreto del contratto dipende dalla natura dell’attività esercitata, dalle mansioni e dal settore in cui si opera. Per una disamina completa sulla natura del patto di non concorrenza è possibile leggere l’articolo specifico che trovate QUI.
Le cause di nullità del patto di non concorrenza
L’articolo 2125 nel disciplinare il patto di non concorrenza stabilisce le cause di nullità dello stesso e in particolare è nullo l’atto che non formulato per iscritto (si considera un contratto comunque autonomo rispetto al contratto di lavoro e si può stipulare contemporaneamente al contratto di lavoro oppure successivamente, in costanza di rapporto o alla cessazione).
Il patto di non concorrenza, a pena di nullità, deve indicare il compenso che deve essere congruo e proporzionato al limite imposto e deve indicare i limiti territoriali, di oggetto e temporali del divieto di porre in essere attività in concorrenza. Mancando uno di questi requisiti il patto è nullo.
Patto di non concorrenza nullo: alcuni casi
Naturalmente in alcuni casi, pur essendovi questi elementi, il patto di non concorrenza è nullo, per capire concretamente come opera la nullità occorre far riferimento alla giurisprudenza che nel tempo ha interpretato l’articolo 2125.
Ad esempio per quanto riguarda l’oggetto: è nullo il patto di non concorrenza che limita del tutto la possibilità per il lavoratore di svolgere un’attività professionale adeguata a capacità e competenze. Ciò è stabilito nella sentenza della Corte di Cassazione 7835 del 2006 , in cui si stabilisce che il patto è nullo quando è idoneo a comprimere l’esplicazione concreta della professionalità del lavoratore limitando la potenzialità reddituale.
Per quanto riguarda la durata, la legge prescrive che il limite massimo è di 3 anni, che può estendersi a 5 anni per i dirigenti. Nel caso in cui la durata prevista nel patto fosse superiore, questa verrebbe comunque riportata al limite previsto per legge.
Il patto di non concorrenza è nullo anche nel caso in cui preveda una clausola di recesso unilaterale in favore del datore di lavoro, questo perché esporrebbe il lavoratore a un’eccessiva indeterminatezza del patto di non concorrenza e sarebbe quindi contraria alle norme imperative (ordinanza della Corte di Cassazione 10535 del 03-06-2020).
Limiti territoriali al patto di non concorrenza
Controversa è la questione dei limiti territoriali perché il giudice di volta in volta ha determinato se l’estensione del divieto fosse o meno lecita in relazione alla possibilità per il lavoratore comunque di procurarsi il sostentamento. Ad esempio diversi tribunali hanno ritenuto lecito il divieto di svolgere attività in aziende concorrenti esteso su tutto il territorio nazionale, mentre altri casi molte sentenze hanno avallato la legittimità anche di patti che avevano un’estensione territoriale più ampia: Unione Europea.
La valutazione si fa in base alla specificità delle mansioni e alla tipologia di attività svolta dal datore di lavoro che potrebbe avere anche un’estensione territoriale ampia. Di volta in volta, in relazione al limite territoriale connesso a quello inerente l’oggetto, i giudici hanno ritenuto congruo un compenso del 60%, del 40%, del 26%. Di converso è stato ritenuto nullo il patto che prevedeva il divieto di porre in essere “nell’intero territorio della Repubblica italiana, qualsiasi attività in concorrenza con quella del datore di lavoro, ciò perché evidentemente vi era un’eccessiva compressione delle libertà del lavoratore rispetto agli interessi del datore di lavoro”.
La legittimità dell’estensione territoriale del divieto deve essere valutata tenendo in considerazione anche gli altri elementi del patto di non concorrenza e in particolare l’oggetto, la durata e naturalmente il compenso.
Nullità del patto di non concorrenza in caso di compenso simbolico
Particolare attenzione viene posta anche al compenso, argomento ampiamente trattato QUI, anche in questo caso i giudici di merito e legittimità hanno emesso diverse sentenze e ordinanze che possono dare molti spunti di riflessione, soprattutto a coloro che devono redigerlo e non vogliono cadere in una nullità del patto di non concorrenza. Ad esempio, il Tribunale di Milano nella sentenza 3505 del 25/11/2014 ha stabilito che un compenso pari al 60% della retribuzione prevista in costanza di rapporto di lavoro potesse essere considerata congrua. Si sono verificati casi in cui i giudici hanno ritenuto congrua una somma pari al 40% della retribuzione o 26%.
Patto di non concorrenza nullo: conseguenze
Quali sono le conseguenze della nullità del patto di non concorrenza? Un atto nulla è come se non fosse mai esistito. Se un patto di non concorrenza è dichiarato nullo è come se non fosse mai esistito, questo implica che il lavoratore può lavorare presso un’azienda concorrente senza essere sottoposto a penali o risarcimenti. Tuttavia se ha percepito delle somme può essere obbligato a restituirle, la domanda per la ripetizione delle somme erogate ha un termine di prescrizione di 10 anni. L’obbligo di ripetizione delle somme viene meno nel caso in cui dimostri che avendo fatto affidamento sulla legittimità dell’atto ha rifiutato delle proposte di lavoro.
La restituzione del corrispettivo può essere richiesta anche nel caso in cui il lavoratore violi il patto. In realtà per valutare chi sia il soggetto effettivamente danneggiato è necessario di volta in volta comparare gli interessi delle parti, infatti se il patto è ritenuto nullo in quanto il compenso non è congruo, il datore di lavoro può essere condannato a versare ulteriori somme.