La fine di un’azienda è dovuta principalmente a due cause. La chiusura volontaria che si verifica quando l’imprenditore si rende conto di non avere più prospettive per mandare avanti l’attività, oppure per fallimento. Quest’ultima ipotesi si materializza quando l’azienda non riesce più a far fronte ai debiti contratti con i suoi beni, il suo attivo.
Il fallimento di un’azienda può essere avviato dalla stessa o da coloro che vantano dei crediti nei suoi confronti. In ogni caso, la procedura fallimentare viene effettuata davanti a un giudice. Ovviamente, il fallimento aziendale comporta delle conseguenze di carattere economico per l’imprenditore, ma anche per i suoi dipendenti e creditori. Quest’ultimi possono essere clienti, fornitori ma anche donatori.
Cosa succede all’imprenditore quando la sua azienda fallisce?
Nel momento in cui viene avviata la procedura fallimentare, chi dirige l’azienda non può più commerciare né avere la disponibilità di tutti gli attivi. Ovvero, dei conti bancari e dei beni aziendali che siano essi immobili o mobili, tutto il patrimonio dell’azienda è bloccato fine alla fine della procedura di fallimento. Quando quest’ultima sarà chiusa, l’ufficio fallimenti che se ne occupa, stima il valore di tutti i beni e si occupa della liquidazione. I fondi raccolti devono essere utilizzati per saldare i debiti nei confronti dei creditori.
Le conseguenze finanziarie per l’imprenditore dipendono dalla forma giuridica dell’azienda. Se si tratta di una persona giuridica, come nel caso di società anonima o di Srl, i debiti sono a carico esclusivo dell’azienda. Motivo per cui, quando si chiude l’iter fallimentare, i debiti rimanenti si annullano. I creditori eventualmente non saldati possono comunque citare in giudizio il consiglio di amministrazione o di gestione.
Diversamente, trattandosi di una persona fisica, è il caso di un’azienda individuale, in caso di fallimento il titolare risponde per i debiti contratti dall’azienda anche con i beni personali, quindi, risparmi, titoli e beni immobili. Se questi non dovessero essere sufficienti a saldare tutti i debiti, i creditori che hanno ricevuto un attestato di carenza di beni in sede di procedura fallimentare, possono rifarsi successivamente, nel caso dovesse migliorare la situazione finanziaria dell’imprenditore. Tuttavia, non si può effettuare un’altra esecuzione se non nel caso in cui il debitore è tornato a miglior fortuna. Quest’ultimo ha facoltà di fondare una nuova società.
I creditori non possono rivalersi sul patrimonio del coniuge dell’imprenditore fallito, neanche sui risparmi per il fondo pensione, il terzo pilastro e le assicurazioni sulla vita conclusi a favore dei coniugi e dei figli che sono esclusi dal fallimento.
Nel caso della società in nome collettivo, i soci si dividono le obbligazioni della società solidalmente e sull’intero patrimonio. Quando la società viene sciolta o ha subito un processo dall’esito non fruttosio, un socio può essere citato in giudizio.
A prescindere dalla forma giuridica dell’azienda, qualsiasi reato commesso da un membro della direzione o da un amministratore durante la procedura fallimentare, dipende dal diritto penale e coinvolge personalmente l’individuo interessato. Si può trattare di false informazioni sugli attivi dell’azienda o ancora di fondi sottratti in suo favore.
Un’altra conseguenza del fallimento aziendale per l’imprenditore, è la perdita d’immagine, il che si traduce anche nella possibilità che gli vengano rifiutati dei crediti o che le forniture vengano consegnate solo dietro pagamento in contanti. E ancora, un riduzione dei limiti di spesa delle proprie carte di credito.
Conseguenze finanziarie per i creditori
Come già anticipato, il fallimento di un’azienda rende i debiti del fallito esigibili e sospende gli interessi dei crediti all’apertura della procedura. Tuttavia, al termine di quest’ultima, i creditori possono anche ottenere un parte infima o nulla del loro credito. Nel caso, hanno la possibilità di contestare l’importo che si vedono attribuito, durante l’iter fallimentare.
I creditori non sono tutti uguali, ci sono delle classi di priorità. Alla prima appartengono i dipendenti che non hanno ricevuto stipendi, LAINF, cassa pensione, crediti per contributi di mantenimento e di assistenza o garantiti da pegno.
Della seconda fanno parte i crediti delle persone i cui beni erano sotto l’amministrazione del debitore in virtù della sua autorità parentale; crediti di contributi dell’assicurazione per la vecchiaia e i superstiti, dell’assicurazione invalidità, dell’indennità di perdita di guadagno e dell’assicurazione contro gli infortuni; crediti di premi e di partecipazione ai costi dell’assicurazione sociale malattie; contributi versati alle casse di compensazione per assegni familiari; crediti fiscali conformemente alla legge sull’IVA.
Alla terza categoria di priorità fanno parte tutti gli altri crediti, come quelli dei fornitori, dei clienti, ecc. Il contributo finanziario dei soci rappresenta in un certo senso una quarta categoria di priorità.
Fallimento azienda: cosa succede ai soci?
Il fallimento d’azienda ha conseguenze per i soci, ma la loro gravità dipende dalle situazioni. Nel caso di responsabilità limitata, devono rispondere solo per la quota che hanno versato.
Nel caso di responsabilità illimitata, i soci devono rispondere personalmente con il loro patrimonio, per cui possono subire l’azione giudiziaria dei creditori sui loro beni attraverso l’esecuzione forzata, quindi, anche il pignoramento dei beni mobili o immobili dei soci. Se, invece, sono impegnati soltanto con una quota di capitale aziendale, risponderanno soltanto in merito a tale quota, e in nessun modo potrà essere intaccato il loro patrimonio personale.
Cosa succede ai dipendenti dell’azienda?
In caso di fallimento dell’azienda, non scatta il licenziamento automatico per i dipendenti, a decidere sarà il curatore. Tuttavia, anche i lavoratori assunti a tempo indeterminato rischiano, in quanto la produzione potrebbe essere sospesa del tutto o in parte. Il curatore può decidere di fermare l’attività o comunque in parte, i dipendenti che continuano a lavorare durante la sospensione, non hanno diritto alla retribuzione.
I dipendenti hanno il diritto di ricevere il TFR, se non è possibile, interviene il Fondo di Garanzia dell’INPS. In questo caso si consiglia di rivolgersi a un avvocato.
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