Dal 2008, quando ha debuttato il programma di certificazione Top Employers in Italia, ad oggi, le aziende meritevoli sono quasi triplicate, passando da 28 nella primavera del 2009 a 90 del 2018.
Considerando che ad oggi l’ente è presente in 113 Paesi e 5 Continenti, Top Employers è davvero un osservatorio speciale, in grado di analizzare, valutare e certificare le eccellenze delle condizioni di lavoro nelle aziende. Generalmente si focalizza su imprese multinazionali o comunque medio grandi.
Tra quelle certificate in Italia, ben sei aziende ottengono la certificazione da 10 anni, e sono Abbott e Chiesi Farmaceutici (farmaceutica); Cariparma, oggi Crédit Agricole Cariparma, e UniCredit (banca), Elica (produzione), PepsiCo (alimentare).
Si tratta dunque di imprese che hanno saputo, anno dopo anno, confermare le loro eccellenze in ambito HR. Ciò significa che sono in grado di offrire condizioni di lavoro e ambiente lavorativo ottimali, capaci di reggere il confronto a livello mondiale.
Negli anni, però, sono cambiati i criteri di giudizio, o meglio, aumentati.
Nel 2008, infatti, i primi tre valori erano recruiting, sviluppo della leadership e cambiamento culturale, mentre nel 2018 sono strategia dei talenti, sviluppo della leadership e cambio organizzativo.
I campi di analisi e valutazione della certificazione Top Employers nel 2008 erano 5: condizioni di lavoro, cultura aziendale, sviluppo del talento e impegno sociale. Nel corso degli anni successivi si sono ampliati e modificati, alcune voci sono state eliminate mentre altre sono state inserite. Ad oggi sono diventate 9: talent strategy, workforce planning, on-boarding, learning & development, performance management, leadership development, career&succession management, compensation&benefits e culture.
Massimo Begelle, deputy country manager Italia di Top Employers Institute, ha commentato così i cambiamenti e i risultati ottenuti: “Le modifiche più evidenti certificate in ambito lavorativo riguardano soprattutto la strategia dei talenti, evidenziata come prima priorità nel 2018 e praticamente sconosciuta dieci anni fa, quando ci si limitava a parlare di sviluppo del talento”.
A proposito di talenti, un termine nuovo è proprio talent acquisition, che prevede un processo di selezione, attraverso l’ingresso in azienda e lo sviluppo del talento: “Uno specchio dei tempi, dove la ricerca dei talenti è diventata un punto fondamentale delle strategie aziendali e gli sforzi delle aziende sono mirati non solo ad acquisirli, ma anche a farli restare”.
Per questo motivo, è diventato di vitale importanza l’HR director: “Da ruolo importante, strettamente operativo e legato all’ambito amministrativo, HR director è oggi una figura “chiave”.Sta diventando un vero “business partner” perché deve raggiungere gli obiettivi dell’azienda e nello stesso tempo seguire lo sviluppo delle persone, mettendo in atto le politiche più adatte per farle crescere”.
Anche la digitalizzazione sta diventando sempre più importante, tanto che, se dieci anni fa era impensabile che un dipendente non lavorasse tra le mura dell’azienda, ora non è così basilare. Lo smart working, anzi, sta dimostrando ampiamente che importante è l’obiettivo, e non dove lo si raggiunge.
Vera MORETTI