Se il 2017 era stato l’anno della ripresa, con un saldo positivo dell’1,5%, il 2018 non sarà in grado di ripetere né di aumentare questa performance.
La Cgia ha condotto un’indagine secondo cui il Pil italiano aumenterà dell’1,3% e che vedrà gli altri paesi Ue in rialzo rispetto a noi, Grecia compresa, che aumenterà la propria ricchezza del 2,5%, mentre la Francia segnerà il +1,7%, la Germania il +2,1% e la Spagna il +2,5%.
Aumenti quasi irrisori interesseranno anche le famiglie (+1,1%) e la Pubblica amministrazione (+0,3%). Note positive, invece, relative alle tasse, ma la situazione non è certamente delle più rosee.
Queste le parole di Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio Studi della Cgia: “Al netto di eventuali manovre correttive e degli effetti economici del cosiddetto bonus Renzi stimiamo che la pressione fiscale generale sia destinata a scendere al 42,1 per cento: 0,5 punti in meno rispetto al dato 2017. Prosegue, quindi, la discesa iniziata nel 2014. Il risultato del 2018, comunque, sarà ottenuto grazie al trend positivo del Pil nominale che aumenterà di oltre 3 punti percentuali e non a seguito di una contrazione del gettito fiscale che, invece, salirà del 2 per cento. Se il Governo Gentiloni non avesse fatto slittare sia l’introduzione dell’imposta sui redditi sulle società di persone e imprese individuali sia la cancellazione degli studi di settore, il carico fiscale generale avrebbe subito una contrazione decisamente superiore, soprattutto a vantaggio delle piccole e micro imprese”.
Considerando le previsioni attuali, per recuperare il livello di crescita antecedente alla crisi occorrerà aspettare fino al 2023. Per colmare i consumi delle famiglie e gli investimenti sia pubblici sia privati, bisognerà aspettare rispettivamente il 2019-20 e il 2030.
Sul fronte del lavoro, infine, la Commissione europea stima il tasso di disoccupazione in discesa al 10,9 per cento, mentre il numero degli occupati dovrebbe salire di 0,9 punti percentuali.
Renato Mason, segretario della Cgia, ha dichiarato: “A differenza di quanto è successo in questi ultimi anni speriamo che il nuovo esecutivo che uscirà dalle urne torni ad occuparsi dei temi strategici per il futuro di un paese: come, ad esempio, creare lavoro di qualità, quali politiche industriali e formative sviluppare, come affrontare le sfide che l’economia internazionale ci sottopone. Abbiamo bisogno di affrontare queste tematiche, altrimenti rischiamo di veder aumentare lo scollamento già molto preoccupante tra il mondo della politica e il paese reale”.
Per quanto riguarda la situazione a livello regionale, sarà il Veneto, nell’anno in corso, a registrare il più alto aumento di Pil, che arriverà all’1,6%. Al secondo posto l’Emilia Romagna e la Lombardia (+1,5%) e in quarta posizione il Friuli Venezia Giulia (+1,4%).
Tra le regioni più in ritardo in termini di recupero ci sono la Calabria (-11,2%), la Liguria (-11,4), la Sicilia (-12,5), l’Umbria (-14,9) e il Molise (-16,9).
Vera MORETTI