Una bella notizia sul fronte dell’occupazione arriva da una stima dell’Ufficio Studi della Cgia che stima, entro la fine dell’anno, l’avvento di 123mila nuovi occupati e 36mila disoccupati in meno.
Si tratterebbe di un piccolo passo per assottigliare il gap che, comunque, rispetto al 2007, anno pre-crisi, è ancora notevole.
Rispetto a 10 anni fa, infatti, lo stock medio degli occupati nel secondo semestre di quest’anno sarà inferiore di 142.000 unità, mentre i disoccupati saranno 1.447.000 in più. Se, ad esempio, nel 2007 il tasso di disoccupazione era al 6,1 per cento, quest’anno si attesterà all’11,4%: una quota quasi doppia al dato pre-crisi.
Paolo Zabeo, chiamato a commentare questi dati, ha voluto però mettere in guardia da alcune minacce che si vedono all’orizzonte: “Se dal prossimo 1 gennaio terminerà la politica monetaria espansiva, cioè il Quantitative Easing introdotto dalla Bce in questi ultimi anni, molto probabilmente assisteremo a un progressivo aumento dei tassi di interesse che innalzerà il costo del nostro debito pubblico, mentre gli investimenti saranno meno convenienti”.
Renato Mason ha aggiunto: “Per un Paese come il nostro che ha uno dei debiti pubblici in rapporto al Pil tra i più elevati al mondo lo scenario prossimo futuro rischia di risultare, in termini di principali indicatori economici, ancora troppo lontano rispetto all’apice economico di 10 anni orsono”.
Confrontando i dati, rispetto al 2007 c’è ancora un differenziale di 3,4 punti percentuali da recuperare per quanto riguarda i consumi delle famiglie, oltre a 5,9 punti di Pil, 7,3 punti di reddito disponibile delle famiglie e di 24,8 punti di investimenti (pubblici e privati), oltre ad un tasso di disoccupazione quasi doppio.
A questo proposito, inoltre, occorre ricordare che a giugno 2017 erano 145 i tavoli di crisi aperti presso il Ministero dell’Economia e dello Sviluppo Economico. Tra questi, 26 interessavano l’industria pesante, 14 il settore delle telecomunicazioni/software, 11 la componentistica elettrica/elettronica e altrettanti nel tessile-abbigliamento-calzature e arredo.
A livello regionale, invece, gli stabilimenti (non le aziende) in stato di crisi erano 37 in Lombardia, 29 nel Lazio e sia in Campania che in Veneto 24. Dei 145 tavoli, 9 riguardano aziende presenti sull’intero territorio nazionale.
Ha ricordato Zabeo: “Senza contare le migliaia di piccolissime imprese e di artigiani che sempre più a corto di liquidità, a causa della stretta creditizia praticata dalle banche e dai ritardati pagamenti decisi dai committenti, rischiano, nel silenzio più totale, di chiudere definitivamente i battenti”.
In merito, poi, all’ipotesi avanzata dal Governo di introdurre un nuovo provvedimento che dal 2018 agevoli l’assunzione dei giovani attraverso una forte decontribuzione previdenziale, la Cgia ricorda che negli ultimi anni il cuneo fiscale è stato “tagliato” in misura strutturale di 13,3 miliardi di euro l’anno (di cui 8,9 attraverso il bonus Renzi e di altri 4,3 miliardi con l’eliminazione dell’Irap dal costo del lavoro per i dipendenti assunti con un contratto a tempo indeterminato). Oltre a ciò, il cuneo è stato ulteriormente alleggerito in via temporanea di altri 15 miliardi di euro grazie agli sgravi contributivi a carico delle aziende che hanno dato luogo ad assunzioni a tempo indeterminato nel 2015 e nel 2016.
A questo punto, Zabeo ha concluso dicendo: “Forse sarebbe più opportuno intervenire tagliando l’Irpef. I posti di lavoro si creano se riparte l’economia, se con più soldi in tasca le famiglie tornano a sostenere la domanda interna e non attraverso misure artificiose. Intervenendo sull’imposta sui redditi delle persone fisiche, inoltre, ne trarrebbero vantaggio anche i pensionati e i lavoratori autonomi che, purtroppo, in questi ultimi anni non hanno beneficiato di alcun vantaggio fiscale”.
Vera MORETTI