L’Ufficio Studi della Cgia ha stilato un bilancio del Quantitative Easing avviata dalla Bce ormai quasi due anni fa, con lo scopo di riportare il tasso di inflazione al 2% e quindi dare un po’ di respiro all’economia italiana, un po’ in affanno.
Ma, nonostante negli ultimi due anni la BCE abbia comprato titoli di Stato per 1.344 miliardi di euro, i risultati del QE non sono stati particolarmente positivi specie, considerando che nell’ultimo anno il livello medio dei prezzi nell’Area dell’euro è cresciuto solo dello 0,3%.
Anche in Germania e in Francia, dove le previsioni di crescita economica per il biennio 2016-2017 sono più favorevoli che in Italia e dove i prestiti alle società non finanziarie sono aumentati negli ultimi 12 mesi, l’inflazione è prossima allo zero mentre in Italia l’inflazione nel 2016 è stata negativa (-0,1%), mentre i prestiti alle imprese sono scesi del 2,4%.
Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio Studi Cgia, ha dichiarato: “L’acquisto di titoli del debito pubblico dei paesi dell’Euro ha contribuito a garantire una certa stabilità finanziaria riducendo il costo del nostro debito pubblico, ma è evidente come questa grossa iniezione di liquidità non abbia ottenuto i risultati sperati, tant’è che l’inflazione è ferma, i prestiti alle imprese non ripartono e la crescita economica non trova lo slancio che servirebbe. Insomma, il bazooka di Draghi non ha sortito gli effetti sperati. Una quota rilevante di questi 222 miliardi di euro sono finiti alle nostre banche che, però, hanno preferito trattenerseli, aumentando così il livello di patrimonializzazione come richiesto dalla Bce, anziché impiegarli nell’economia reale”.
Renato Mason, segretario della Cgia, ha voluto commentare i risultati del QE e la situazione di difficoltà in cui si trovano le banche: “Le regole si stanno assestando sempre più in alto. Prima l’Europa chiedeva alle banche un patrimonio dell’8 per cento degli impieghi; ora bisogna avere il 10-12 per cento circa. In altre parole, la banca per prestare 100 milioni deve avere un patrimonio di oltre 10-12. L’asticella che varia nel tempo per gli istituti di credito è un problema. Infatti, dura da 2 anni la corsa per adeguarsi alle nuove regole europee, applicate con rigidità e nel periodo peggiore, ovvero nel bel mezzo di una crisi. Al di là delle responsabilità, comunque, rimane un fatto; la nostra economia ha bisogno di un sistema creditizio efficiente e attento ai territori, in particolar modo alle piccole e medie imprese che continuano ad essere l’asse portante della nostra economia”.
Vera MORETTI