La palla al piede dell’Italia? Sicuramente la burocrazia, ma anche la Pubblica amministrazione non scherza: secondo la denuncia dell’Ufficio studi della Cgia, la sua inefficienza costa oltre 30 miliardi di euro all’anno di mancata crescita.
La nota della Cgia si basa su uno studio realizzato dal Fondo Monetario Internazionale dal quale emerge che se la nostra Pa avesse in tutta Italia la stessa qualità nella scuola, nei trasporti, nella sanità, nella giustizia, etc. che ha nei migliori territori del Paese, il Pil nazionale aumenterebbe di 2 punti, oltre 30 miliardi di euro all’anno.
Il forte divario esistente tra il Nord e Sud del Paese sulla qualità/quantità dei servizi erogati dalla nostra Pa, emerge anche dall’analisi dell’Ufficio studi della CGIA su dati relativi a un’indagine condotta dall’Ue sulla qualità della Pa a livello territoriale.
Rispetto ai 206 territori rilevati dallo studio, ben 7 regioni del Mezzogiorno si collocano nelle ultime 30 posizioni: la Sardegna al 178esimo posto, la Basilicata al 182esimo, la Sicilia al 185esimo, la Puglia al 188esimo, il Molise al 191esimo, la Calabria al 193esimo e la Campania al 202esimo posto. Solo Ege (Turchia), Yugozapaden (Bulgaria), Istanbul (Turchia) e Bati Anadolu (Turchia), presentano un dato peggiore della Pa campana.
Tra le realtà meno virtuose troviamo anche il Lazio, che si piazza al 184esimo posto della graduatoria generale. Tra le migliori 30 regioni europee, invece, non c’è nessuna amministrazione pubblica del nostro Paese.
La prima, la Provincia autonoma di Trento, si colloca al 36esimo posto della classifica generale della Pa. La Provincia autonoma di Bolzano al 39esimo, la Valle d’Aosta al 72esimo e il Friuli Venezia Giulia al 98esimo. Appena al di sotto della media Ue troviamo al 129esimo posto il Veneto, al 132esimo l’Emilia Romagna e di seguito tutte le altre.
Questa classifica, segnala l’Ufficio studi della Cgia, è tarata su un indice di qualità che è il risultato di un mix di quesiti posti ai cittadini che riguardano la qualità dei servizi pubblici ricevuti, l’imparzialità con la quale vengono assegnati e la corruzione.
Il risultato finale è un indicatore di qualità della Pa che varia dal +2,781 ottenuto dalla regione finlandese Åland (primo posto in Ue) al -2,658 della turca Bati Anadolu (maglia nera al 206esimo posto). Il dato medio Ue è pari a zero.
Nella classifica generale la Pa italiana si colloca al 17esimo posto su 23 Paesi analizzati. Solo Grecia, Croazia, Turchia e alcuni Paesi dell’ex blocco sovietico presentano un indice di qualità della Pa inferiore al nostro. A guidare la classifica, invece, sono le Pa dei Paesi del nord Europa (Danimarca, Finlandia, Svezia, Paesi Bassi, etc.).
Dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo: “Dagli inizi degli Anni ’90 ad oggi sono state ben 18 le riforme che hanno interessato la nostra Pa. Sebbene le aspettative fossero molte, in tutti questi anni i risultati ottenuti sono stati deludenti. In molti settori la qualità dei servizi erogati ai cittadini e alle imprese è diminuita e nonostante l’avvento del web ci permetta di scaricare molti documenti dal computer di casa, le code agli sportelli, ad esempio, sono aumentate. L’Istat denuncia che, rispetto al 2015, dopo 20 minuti di attesa presso gli uffici comunali dell’anagrafe, oggi la fila si è idealmente allungata di 11 persone e agli sportelli delle Asl addirittura di 18”.
Dalla Cgia, comunque, precisano che sebbene i dati medi non siano particolarmente brillanti, la nostra Pa presenta delle punte di eccellenza in molti settori che non hanno eguali nel resto d’Europa, come la sanità al Nord, le forze dell’ordine e molti centri di ricerca e istituti universitari”.