La legge di Bilancio 2017 sta ormai prendendo una forma definita e si fanno largo alcune ipotesi in merito a determinati aspetti che la comporranno. A tal proposito, si parla con sempre maggiore insistenza di una conferma della voluntary disclosure.
A sostegno dell’ipotesi, il recente intervento del viceministro dell’Economia Luigi Casero al Forum Tax di Milano, nel quale ha confermato l’idea di una voluntary disclosure indirizzata ai capitali interni.
L’ipotesi interna è rafforzata anche dal fatto che dal 2018 entrerà in vigore lo scambio automatico di informazioni tra le autorità fiscali dei diversi Paesi che, se dovesse funzionare a dovere, escluderebbe una voluntary disclosure per il rientro dei capitali esteri.
Questa voluntary disclosure interna (estesa, si dice, a tutto il 2015) punterebbe a far emergere i capitali custoditi nei caveau delle banche e nelle cassette di sicurezza. Al netto di oro, preziosi e contanti, si parla di una cifra che oscillerebbe tra 1,5 e 2 miliardi. Cifre, quindi, potenzialmente per difetto.
Ciò che si obietta all’ipotesi di voluntary disclosure domestica è il fatto che i capitali interessati potrebbero derivare da operazioni di riciclaggio di denaro sporco, oltre alla identificazione dei titolari dei patrimoni custoditi nelle cassette di sicurezza.
Chi si occuperà di effettuare la certificazione di questa voluntary disclosure? Le ipotesi attuali parlano di un coinvolgimento di banche e fiduciarie solo per certificare la provenienza “fiscale” dei depositi; in alternativa si pensa alla Guardia di Finanza, che certificherebbe il “non provento da illecito”, ma che scoraggerebbe molti ad aderire, a differenza della prima ipotesi.