Si è tenuto nei giorni scorsi a Roma un incontro tra Cia-Agricoltori Italiani e giornalisti esteri e stakeholder di settore per analizzare i mercati internazionali dell’ agroalimentare italiano e illustrare i progetti che la Cia sta realizzando per promuovere le eccellenze delle aziende agricole made in Italy su questi mercati.
I dati e le riflessioni emersi durante la discussione sul futuro all’estero dell’ agroalimentare italiano sono stati stimolanti. A partire da un dato. Se, da una parte, l’ agroalimentare italiano vanta quasi 6mila (5.847) tra cibi tradizionali e denominazioni di origine, i prodotti made in Italy originali che arrivano sulle tavole internazionali sono meno di 200.
Un potenziale inespresso che si riflette nei numeri dell’export, pari a circa 37 miliardi di euro ma che ne vale potenzialmente almeno 70. Pochi prodotti coprono più del 90% del fatturato dell’export agroalimentare italiano, che per 24 miliardi è generato dagli scambi con tre soli Paesi: Francia, Germania e Regno Unito.
Stando ai risultati di alcuni studi recenti, il 25% dei consumatori stranieri ritiene che i cibi della mondo agroalimentare italiano siano di qualità superiore rispetto ai propri; negli Usa, il il 43% dei consumatori vorrebbe più prodotti made in Italy nei supermercati e 3 su 4 di essi sono disposti a pagare di più un prodotto, purché sia garantito al 100% di agroalimentare italiano.
Mercati da aggredire e potenzialità inespresse, che rischiano di affossare, anziché esaltare l’ agroalimentare italiano, come il presidente nazionale della Cia, Dino Scanavino: “Ho il timore che, a forza di parlare solo di km zero, stiamo relegando le nostre produzioni di eccellenza alla vendita nei mercatini rionali, che complessivamente generano un fatturato inferiore al miliardo e mezzo di euro. Questa strategia limitata blocca, invece, un potenziale da almeno 70 miliardi di euro in export”.
Ed è un timore in parte fondato, visto che dall’incontro è emerso come il nostro Paese non ha saputo ancora attuare una strategia redditizia per aggredire i mercati stranieri. Un vuoto ancora più pericoloso perché riempito da quei prodotti che vengono spacciati per italiani ma che italiani non sono.
È così che il famigerato Italian sounding sottrae fatturato ai veri prodotti dell’ agroalimentare italiano, con perdite notevoli: si stima infatti che il falso alimentare valga nel mondo circa 60 miliardi all’anno.