Se la crisi ha avuto dei meriti, uno di questi è l’aver contribuito a ridisegnare in maniera netta i confini del mercato del lavoro, con imprese e tipologie di artigiani che sono spariti, a beneficio di altre nuove figure professionali che si sono affacciate sul mercato.
Un trend testimoniato anche da un rapporto stilato da Unioncamere e InfoCamere, secondo il quale, dall’inizio della crisi gli artigiani sono la categoria che ha pagato il prezzo più alto: dal 2009 al 2015 ne sono spariti 117mila, con un calo dell’8%.
Il settore più interessato dall’emorragia di artigiani è quello dell’edilizia: a scendere, si contano 35.800 muratori in meno, -6.100 carpentieri, -3.500 idraulici, -3.450 falegnami, -2.600 imbianchini, -2.000 serramentisti.
Fortunatamente, però, al calo di artigiani in questi settori storici devastati dalla crisi (ricordiamo che quello dell’edilizia è stato, in senso assoluto, il più colpito) ha fatto da contraltare la crescita di nuove imprese e di nuove figure artigianali in settori diversi. Nello specifico, si è impennato in sette anni il numero di imprese di pulizia di edifici (+10.898), quelle specializzate nell’attività di cura del paesaggio (+4.904), quelle operanti nel settore dei takeaway (+3.240) e dell’estetica (+1.140).
Unioncamere e InfoCamere hanno rilevato come questo cambio della guardia tra le fila degli artigiani sia dettato principalmente dalle nuove abitudini di consumo, che hanno spinto a un sempre maggiore sviluppo delle imprese specializzate nell’erogazione di servizi alla persona.
“I dati – sostiene il Presidente di Unioncamere, Ivan Lo Bello – dimostrano che gli artigiani hanno messo in campo nuovi modelli di sviluppo per reagire alla crisi. Ma ora è necessario preservare quelle tradizioni e quelle competenze che sono l’espressione più elevata del nostro saper fare e che rendono i nostri prodotti unici e riconoscibili al mondo“.