Lo abbiamo detto e ripetuto tante volte: la forza del made in Italy, nel campo del lusso ma non solo, è data dalla grande diffusione di piccole aziende artigianali. Una forza che diventa debolezza nel momento in cui queste aziende non riescono a fare sistema per fronteggiare la crisi e agganciare una ripresa che, lusso o non lusso, se c’è è ancora assai debole.
Una conferma è venuta in questi giorni da uno dei settori simbolo del lusso made in Italy, quello delle calzature, con l’assemblea annuale di Assocalzaturifici tenutasi ad Arese, vicino a Milano.
L’industria calzaturiera, in Italia, dà lavoro a oltre 77mila persone ed è un’eccellenza riconosciuta nel campo del fashion, che però è ancora piuttosto scettica di fronte a chi, nel nostro Paese, parla di ripresa. Come testimoniato dalle parole usate dal presidente di Assocalzaturifici, Annarita Pilotti, nel tracciare il bilancio del primo anno di mandato dopo la gestione del predecessore, Cleto Sagripanti.
“Per il nostro comparto la ripresa di cui si parla è ancora un miraggio – ha esordito Pilotti -. Il 2015 ha registrato risultati inferiori alle attese e la domanda interna ha accusato l’ottava contrazione in otto anni. Malgrado ciò, il settore è riuscito a limitare la flessione dei livelli produttivi (-2,9% in volume), a conseguire un nuovo record di esportazioni a 8,7 miliardi di euro, a segnare per la prima volta dal 2011 un lieve incremento dell’occupazione, in realtà risultato soprattutto delle misure di stabilizzazione del Governo”.
“Le prime rilevazioni del 2016 confermano che la situazione resta complessa e il clima incerto – ha proseguito il presidente di Assocalzaturifici -. Nel primo trimestre è continuato il calo dei consumi di calzature delle famiglie italiane, con un’ulteriore diminuzione dell’1,3% in quantità e del 3,7% in valore. Dal canto suo il fronte occupazionale, dove si è fermato il lieve rimbalzo del 2015, è tornato ad essere allarmante. A fine marzo il numero di addetti risultava sostanzialmente invariato rispetto a dicembre (-0,1%), mentre altre 39 aziende avevano cessato l’attività e la cassa integrazione chiudeva il trimestre con un balzo del 32%, a 3,5 milioni di ore autorizzate”.
“Nel bimestre gennaio-febbraio le esportazioni hanno mantenuto le posizioni, crescendo del 3,7% in valore. Ma debolezza economica e criticità finanziarie in diversi importanti mercati esteri continuano a penalizzare la domanda, soprattutto nella fascia di prodotto medio-alta e lusso. Le attese per i prossimi mesi escludono miglioramenti significativi a breve. Il portafoglio ordini dei primi quattro mesi è praticamente piatto e le attese delle aziende raggiunte dall’ultima indagine congiunturale rapida propendono per stabilità-ribasso sia per il mercato domestico, sia per i principali mercati esteri di sbocco”.
E, se il quadro è questo, da Assocalzaturifici l’accento viene posto sull’importanza dei mercati esteri e sulla necessità di sensibilizzare il cliente sulla qualità del prodotto che sta acquistando, sia esso di lusso o meno, relativamente all’autenticità del made in Italy. “Ci battiamo per una norma di civiltà che informi il consumatore circa la provenienza geografica del prodotto – ha sottolineato Pilotti -. Sono anni che tentiamo, senza risultati. Ma non arretreremo di un centimetro e non accetteremo surrogati come i certificati di origine volontari”.
Una stoccata, Pilotti, l’ha poi riservata all’assurdità delle sanzioni Ue alla Russia, uno dei principali mercati per il lusso e il made in Italy, specialmente nel comparto calzaturiero: “È una follia che sta costando carissima all’economia europea e si sta trasformando in un vero allarme sociale in tanti distretti calzaturieri italiani”. Non è un caso che, quello delle calzature, così come altri comparti come l’agroalimentare, sia stato tra i più penalizzati: -32% in valore per le vendite in Russia e -32% in Ucraina nel solo 2015. Se si inseriscono questi dati nel quadro di debolezza e incertezza che ancora regna nell’economia europea, si capisce il perché della preoccupazione di Assocalzaturifici.