A che punto è l’ e-commerce in Italia? E come sono messe le imprese italiane su questo fronte? Sono solo alcuni quesiti ai quali prova a rispondere con le proprie analisi il Consorzio Netcomm dell’Osservatorio del Politecnico di Milano. E si tratta di risposte in chiaroscuro.
Intanto, secondo Netcomm nel 2016 l’ e-commerce in Italia arriverà a 19,3 miliardi in Italia, con una crescita del 140% in 6 anni, dagli 8 miliardi del 2010 e del 17% rispetto allo scorso anno (+17%).
Sono numeri figli di un’utenza dell’ e-commerce che, al momento, e di circa 20 milioni di persone (18,8) sui circa 30 che utilizzano regolarmente internet. Si tratta di circa il doppio rispetto a 5 anni fa, con un tasso di penetrazione del 61%. Se si pensa che, nel 2014, era al di sotto del 50%, si può ben intuire come, in Italia, l’ e-commerce ha finalmente cominciato a darsi una svegliata.
Questo sotto il profilo di chi acquista. Ma come è messo chi vende, o chi potrebbe vendere? Non benissimo, perché secondo Netcomm il giro d’affari del commercio elettronico in Italia potrebbe anche raddoppiare se, da noi, non ci fossero solo 40mila aziende che vendono online.
Ottimi quindi i margini di crescita, specialmente se si considera che la stima delle esportazioni di beni e servizi attraverso l’ e-commerce parlano di 3,5 miliardi, il 42% dei quali in ambito turistico e il 38% per l’abbigliamento e la moda.
Per quanto riguarda i beni acquistati tramite e-commerce dagli italiani, svettano i servizi turistici (8,5 miliardi), seguiti da elettronica e informatica (2,8 miliardi), prodotti vari (giocattoli, beauty…, 2,2 miliardi), abbigliamento e moda (1,8 miliardi), assicurazioni (1,3 miliardi), altri servizi (0,8 miliardi), food (0,5 miliardi).
Buono anche il trend degli acquisti attraverso e-commerce in mobilità. Quasi un quarto dei volumi (24%) avviene tramite smartphone (15%) e tablet (9%), con un giro d’affari che, per il solo smartphone, vale quasi 3 miliardi 2,8.
Il treno dell’ e-commerce corre veloce e, per le aziende italiane, perderlo e perdere così un mercato vastissimo di potenziali clienti sarebbe da irresponsabili, specialmente in un periodo nel quale il mercato interno è ancora in sofferenza.