Qual è lo stato di salute del settore calzaturiero in Italia? Tutto sommato discreto, specialmente se si fa riferimento agli anni difficili che questo settore, come tanti altri, si sta lasciando alle spalle.
Recenti rilevazioni di Assocalzaturifici mettono in luce aspettative delle imprese per la prima metà del 2016 improntate alla stabilità, dopo un 2015 che da un lato ha messo a segno per la prima volta dal 2011 un saldo attivo degli occupati nel settore calzaturiero (+432 addetti), grazie alle misure di stabilizzazione previste nel Jobs Act, ma dall’altro ha registrato un calo della produzione del 2,9% in volume (191,2 milioni di paia) e dello 0,7% in valore.
Nonostante il 2015 si sia chiuso con risultati sotto le attese, il settore calzaturiero è riuscito a contenere la flessione dei livelli produttivi, nonostante i molti ostacoli incontrati sia sui mercati esteri sia su quello interno. Inoltre, stabilito un nuovo record nelle vendite all’estero, aumentate nel 2015 del 2% nonostante un -4,8% in volume e il rallentamento dei mercati extra-Ue, che avevano trainato il settore calzaturiero dopo la crisi del biennio 2008-2009.
Sul fronte del mercato interno, nel 2015 i consumi di calzature delle famiglie italiane, elaborati da Assocalzaturifici sulla base del Fashion Consumer Panel di Sita Ricerca, sono calati dell’1,2% in quantità e del 2,4% in spesa, con prezzi medi giù dell’1,3%. Per l’ottavo anno consecutivo, gli acquisti delle famiglie hanno fatto segnare un calo in volume, nonostante la flessione sia stata molto meno rilevante rispetto al triennio precedente.
Per quanto riguarda le vendite all’estero, i dati Istat sul settore calzaturiero per i primi 10 mesi 2015 evidenziano un +1,5% in valore per le esportazioni, accompagnato però da un -5,2% in volume, con un prezzo medio salito del 7,1% a 40,79 euro/paio. Numeri che si inseriscono in uno scenario sempre più articolato, dove recessione economica diffusa e tensioni geopolitiche hanno acuito la volatilità dei mercati e la competizione.
Nello specifico, quasi tutte le principali macro-aree geografiche di destinazione hanno registrato un segno positivo in valore, a parte l’Ue (-1,2%), il cui mercato assorbe 7 scarpe su 10 uscite da settore calzaturiero italiano, e i Paesi dell’Est Europa e CSI (-31,6%). In Europa si segnalano la ripresa in Germania (+0,9% in valore e +4,8% in volume) e lo stop in Francia, (-4,4% in valore e – 10,7% in volume).
L’export a 10 mesi verso i mercati extra-Ue è calato del 5,2% in volume e cresciuto del 4,7% in valore. Bene la Svizzera (+14,5% in valore e +3,1% in volume), il Medio Oriente (+7,4% in valore, stabile in volume) e gli Stati Uniti (+16,4% e +5,1%), oltre alle performance di tutto rispetto fatte registrare da Hong Kong (+17% in valore) e Sud Corea (+32,6%). Rimanendo nel Far East, cala il Giappone (-13,3% in quantità), frena la Cina (-4,5% in volume, ma +16% in valore).
Fanno storia a sé per il settore calzaturiero italiano i mercati dell’ex-Unione sovietica, Russia in primis, come abbiamo già visto nei giorni scorsi. Ed è proprio lì la situazione preoccupante per un settore che aveva eletto quei mercati a bacini privilegiati e che oggi, a causa del crollo dell’export in quelle aree, mette in discussione anche i propri livelli occupazionali.