C’è un turismo di nicchia, particolare, che per l’Italia ha un grande valore simbolico ed economico: il turismo religioso. I dati più recenti e attendibili risalgono a un paio d’anni da e le fonti sono diverse, ma la fotografia che del turismo religioso viene scattata è piuttosto coerente: costituisce, nella bilancia turistica, una voce non indifferente.
Secondo uno studio di Coldiretti effettuato nel 2014 in occasione della canonizzazione di Giovanni Paolo II e di Giovanni XXIII, il giro d’affari generato in Italia dal turismo religioso quell’anno era valutato intorno ai 5 miliardi di euro.
Cifre tutto sommato attendibili, se si considera che, secondo l’Organizzazione mondiale del Turismo Unwto, solo a Roma e al Vaticano si recano ogni anno circa sette milioni di turisti spirituali su un totale mondiale di gente che viaggia per turismo religioso di oltre 300 milioni di persone, che generano un fatturato annuo di 18 miliardi di dollari.
Coldiretti rileva poi che il 41,4% dei turisti religiosi ha un’età compresa tra i 30 e i 50 anni e che il 44,4% di loro si affida per l’organizzazione del viaggio a tour operator e agenzie di viaggio, specializzate o meno in turismo religioso. Ampia la fetta di chi preferisce viaggiare in compagnia del partner 32,7%. Il 20% sceglie un tour organizzato, il 19,7% un gruppo di amici, il 13,3% la famiglia e il 9,8% viaggia da solo.
Una caratteristica importante di chi preferisce il turismo religioso è data dal fatto che tende a spendere poco e a viaggiare in bassa stagione: un ottimo modo per destagionalizzare mete e destinazioni. Insieme al fatto che sempre più spesso il turismo religioso viene affiancato da quello enogastronomico.
Se poi si considera che, secondo una ricerca Isnart, circa il 60% di chi pratica turismo religioso in Italia viene (45,3% dall’Europa, il 14,9% dai Paesi extraeuropei), si può ben capire quanto questo possa e debba essere incentivato con adeguate politiche di promozione e accoglienza.