Lo smart working è un fenomeno da cavalcare. Se molte grandi aziende lo hanno già capito, per le piccole e medie imprese è più difficile, specialmente in Italia. Lo dimostra anche una ricerca svolta da Vodafone sul tema dello smart working, Flexible Work: Friend or Foe? (che significa Lavoro flessibile: amico o nemico?).
Si tratta di un’indagine quantitativa svolta in 10 Paesi su un campione di 8mila persone, diviso tra lavoratori e datori di lavoro, manager e dirigenti di piccole e medie imprese, multinazionali organizzazioni del settore pubblico.
I risultati dicono che, a livello globale, il 75% delle aziende ha implementato forme di smart working che permettono ai dipendenti di organizzare in modo autonomo la propria giornata di lavoro. Gli strumenti principali che consentono loro di lavorare da casa o in mobilità sono di natura principalmente tecnologica, come smartphone, tablet, linee adsl o a fibra ottica.
Dal punto di vista dei datori di lavoro, lo smart working ha portato a un aumento della produttività (nell’83% dei casi), a una crescita dei profitti (61%) e a un impatto positivo sulla reputazione dell’azienda (58%).
C’è però ancora un 33% di datori di lavoro secondo i quali lo smart working è lontano dalla mentalità aziendale; per altri (25%) può portare a una distribuzione iniqua del lavoro o a scontri tra i dipendenti che lo praticano e quelli che non lo praticano (30%). Resiste un 22% di datori di lavoro che crede che politiche di smart working porterebbero i dipendenti a impegnarsi di meno sul lavoro.
Spostando lo sguardo dai datori di lavoro ai lavoratori, coloro i quali non praticano lo smart working credono che, utilizzandolo, sarebbero più motivati sul lavoro (55%) e ne gioverebbero anche la produttività (44%) e i profitti (30%) dell’azienda. Allo stesso modo, i giovani sono più inclini a utilizzare il lavoro agile pensando che migliori qualità e produttività: il 72% della fascia 18-24 anni contro il 38% degli over 55.
Relativamente all’Italia, lo studio di Vodafone ha rilevato come il 40% dei lavoratori non sia interessato da politiche di lavoro agile, utilizzato invece dal 31% dei lavoratori. Nello specifico il 38% dei lavoratori intervistati collega la scarsa propensione allo smart working al proprio ruolo, il 43% non cambierebbe l’attuale organizzazione e un piccolo 9% pensa persino che il lavoro flessibile possa influire negativamente sulla propria carriera.
Tanto è vero che alla domanda su che cosa farebbe la propria azienda se le fosse richiesto di lavorare in modo flessibile, il 34% degli intervistati ha risposto che i capi rifiuterebbero, il 25% che accetterebbero con riserva e il 16% che i vertici aziendali accetterebbero senza remore. Del resto il 47% degli intervistati crede che lo smart working abbia effetti positivi sulla propria vita, il 48% che migliori l’azienda, il 60% che sia tanto un’opportunità per i dipendenti quanto per il business aziendale.
Sul fronte dei device, infine, risulta che lo smartphone personale sia il dispositivo più usato da chi lavora fuori dal proprio ufficio (58% dei casi), seguito da pc (27%) e notebook personale (23%). Solo il 14% degli intervistati è dotato di smartphone aziendale e il 18% di notebook aziendale.