Non è la prima volta e, temiamo, non sarà l’ultima che sentiamo dire, dati alla mano, che i nuovi poveri sono i professionisti, le partite Iva, gli autonomi. Questa volta l’analisi forte dei numeri (che, si sa, li puoi leggere dalla parte che vuoi ma non mentono) l’ha fatta l’Ufficio studi della Cgia.
Ebbene, secondo le elaborazioni degli artigiani mestrini, nel 2014 il 24,9% delle famiglie con reddito principale da lavoro autonomo ha vissuto con una disponibilità economica inferiore a quella che l’Istat considera la soglia di povertà: 9.455 euro annui.
Il divario tra le famiglie delle partite Iva in condizioni di indigenza e quello delle famiglie dei pensionati o dei lavoratori dipendenti è evidente: 20,9% tra i pensionati, 14,6% tra i lavoratori dipendenti.
Sempre secondo la Cgia, tra il 2010 e il 2014 il numero di famiglie del popolo delle partite Iva in condizioni di povertà è aumentato del 5,1% (invariato nel 2014), a fronte di un -1% tra i pensionati e di un +1% tra i dipendenti.
L’Ufficio Studi della Cgia sottolinea poi un dato interessante. Dal 2008, anno di inizio della crisi, al primo semestre 2015 il numero dei lavoratori autonomi e della partite Iva in Italia è calato, in termini assoluti, molto meno rispetto a quello dei lavoratori dipendenti (-260mila contro -408mila), ma in percentuale esattamente del doppio: -2,4% contro -4,8%.
Se si prova a spacchettare il dato per aree geografiche, si nota che il calo più consistente di partite Iva tra il 2008 e il primo semestre 2015 ha interessato il Sud (-7,5%, pari a -120.700 unità,), seguito dal Nordest (-5,8%, pari a -67.800 unità), dal Nordovest (-5,3%, pari a -82.500 unità). In controtendenza il Centro: +1 per cento, pari a +11.300 unità.
Amara la riflessione del coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo: “Purtroppo questi dati dimostrano che la precarietà presente nel mondo del lavoro si concentra soprattutto tra il popolo delle partite Iva. Sia chiaro, la questione non va affrontata ipotizzando di togliere alcune garanzie ai lavoratori dipendenti per darle agli autonomi, ma allargando l’impiego di alcuni ammortizzatori sociali anche a questi ultimi che, almeno in parte, dovrebbero finanziarseli”.
Infatti, prosegue Zabeo, “quando un lavoratore dipendente perde momentaneamente il posto di lavoro può disporre di diverse misure di sostegno al reddito. E nel caso venga licenziato può contare anche su una indennità di disoccupazione. Un autonomo, invece, non ha alcun paracadute. Una volta chiusa l’attività è costretto a rimettersi in gioco affrontando una serie di sfide per molti versi impossibili. Oggigiorno è difficile trovare un’altra occupazione; l’età spesso non più giovanissima e le difficoltà congiunturali costituiscono un ostacolo insormontabile al reinserimento nel mondo del lavoro”.