Quali sono i limiti della definizione di crisi di impresa in Italia? Sono limiti stringenti o adeguati? E come superarli? Si tratta di domande estremamente attuali alle quali i commercialisti italiani provano a rispondere con un documento messo a punto dal Consiglio nazionale dei commercialisti, proprio per superare i limiti tuttora presenti, secondo la categoria, nella definizione di crisi di impresa.
Una scelta, quella di intervenire nel dibattito sulla definizione di crisi di impresa, sintetizzata così dal presidente nazionale dei commercialisti, Gerardo Longobardi: “Abbiamo ritenuto necessario predisporre questo documento in considerazione della crescente attenzione dimostrata negli ultimi anni dal legislatore per la disciplina delle procedure concorsuali, tanto da istituire una Commissione ministeriale di esperti per la riforma organica della materia e tanto da intervenire con continue modifiche sulla legge fallimentare”.
Ma c’è di più, come spiega il consigliere nazionale delegato alla materia, Raffaele Marcello, secondo il quale c’è “opacità nella definizione di crisi di impresa e, ancora più, c’è carenza di conoscenze da parte dei soggetti che non hanno dimestichezza con la gestione dinamica aziendale, sia sotto il profilo della governance di aziende in bonis che possano presentare tensione finanziaria, sia sotto quello dei dati informativi finanziari e di bilancio che permettono una rilevazione dei vari stadi di crisi che possono caratterizzare la vita, anche ordinaria, delle imprese”.
Il documento del Consiglio nazionale sulla crisi di impresa, prosegue Marcello, “indica dunque le linee di indirizzo per i commercialisti che svolgono la propria attività in contatto con l’imprenditore, al fine di tentare una qualificazione della crisi aziendale, che ne consenta anche il monitoraggio e l’emersione, fornendo un eventuale paragone del concetto aziendalistico di crisi alla possibile definizione giuridica di crisi d’impresa e insolvenza attuale e in chiave prospettica”.