Gli architetti italiani hanno una ricetta tutta loro per contribuire alla lotta contro il terrorismo. Se non è una soluzione, sicuramente è una prospettiva diversa dalla quale osservare un fenomeno che, dopo i fatti di Parigi, preoccupa ormai tutto il mondo.
Secondo gli architetti italiani, se si intervenisse urbanisticamente sulle periferie si comincerebbero a ottenere alcuni risultati importanti. Non a caso, infatti, i terroristi che hanno scatenato il terrore nella Capitale francese, sono nati e cresciuti in periferie degradate in Francia e in Belgio.
“La lotta al terrorismo – scrive infatti il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori – passa anche attraverso la riqualificazione delle periferie. Come ha ricordato il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, l’equilibrio urbano deve essere una priorità affinché esse non siano più luoghi di nessuno, dove si fomenta l’odio e dove chi vi abita è troppo spesso costretto ad una esistenza ai margini, senza diritti e senza speranze. Serve quindi un salto di qualità culturale per realizzare luoghi di convivenza dignitosi ed adeguati ai bisogni di ciascuno”.
“Come professionisti – aggiunge Leopoldo Freyrie, presidente degli architetti italiani – abbiamo già fatto il mea culpa per aver contribuito nel passato alla realizzazione di agglomerati urbani costruiti senza fini sociali e che hanno prodotto e che producono disadattamento e alienazione, vere e proprie follie edilizie. Ora quel tempo è lontano e la comunità degli architetti ha dato ampie prove di avere acquisito una nuova coscienza del proprio ruolo culturale e sociale, così come dei propri doveri nei confronti delle comunità”.
Il presidente degli architetti italiani ricorda poi l’importanza del cosiddetto RI.U.SO, progetto del Consiglio Nazionale degli Architetti che ha come obiettivo la rigenerazione urbana sostenibile: “Non è solo il primo obiettivo dei progettisti italiani – ricorda Freyrie – ma è, soprattutto, un grande progetto d’investimento di idee sulle città: è, soprattutto, un grande investimento sociale. Non si limita, infatti alla riqualificazione fisica dei luoghi, ma punta a mettere in atto meccanismi che favoriscano nuove forme di relazione e di socialità e che innescano meccanismi virtuosi dal punto di vista dello sviluppo economico in grado di mitigare anche il fenomeno della disoccupazione. Come ci insegna anche la teoria delle finestre rotte, la cura dell’esistente è la premessa per lo sviluppo e la convivenza positiva di una comunità”.