Non bastassero gli effetti nefandi della crisi economica, che sulle imprese italiane continuano a farsi sentire nonostante i timidi segnali di ripresa, anche la tassazione locale non smette di pesare su di loro come un macigno. Come, per esempio, nel caso dell’ Imu sui capannoni.
Secondo un monitoraggio dell’Ufficio studi della Cgia sui principali capoluoghi di provincia italiani, nel 2015 l’applicazione dell’ Imu sui capannoni costerà alle imprese 10 miliardi di euro. Secondo la Cgia, infatti, la metà dei Comuni considerati nel monitoraggio applica sugli immobili produttivi l’aliquota Imu massima.
Non solo capannoni, comunque, dal momento che l’ Imu sugli immobili strumentali colpisce anche le attività commerciali. Tra queste, al netto delle deduzioni fiscali, secondo la Cgia nel 2015 saranno gli alberghi le attività economiche più penalizzate dall’applicazione dell’ Imu e della Tasi, con un esborso medio che sfiorerà i 12mila euro.
A seguire, le grandi attività commerciali (8mila euro), i grandi capannoni (6.500), i piccoli capannoni (4mila euro), gli uffici e gli studi privati (oltre 2mila euro), i negozi (986 euro) e i laboratori artigianali (759 euro di Imu).
La Cgia ha poi allargato l’orizzonte temporale della propria analisi rilevando come dal 2011, ultimo anno dell’Ici divenuta poi Imu, al 2015, l’incremento del peso fiscale sugli uffici ha sfiorato il 150%, sui negozi il 140%, sui laboratori artigianali il 110%, sui capannoni e sugli alberghi quasi il 100%. A testimonianza del fatto che gli amministratori locali hanno scelto di equilibrare il minor prelievo fiscale sulle abitazioni con un maggior prelievo sulle attività produttive.
Improntato al realismo il commento del coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo: “Ci preme sottolineare che il capannone non viene ostentato dall’imprenditore come un elemento di ricchezza, bensì come un bene strumentale che serve per produrre valore aggiunto e per creare posti di lavoro, dove la superficie e la cubatura sono funzionali all’attività produttiva esercitata. Accanirsi fiscalmente su questi immobili non ha alcun senso, se non quello di fare cassa, danneggiando però l’economia reale del Paese”.