L’Italia non è solo il Paese di Pulcinella ma, specialmente per quello che riguarda le piccole e medie imprese, è un Paese di eccellenze dalle quali c’è solo da imparare. Lo testimonia il rapporto annuale dell’Osservatorio Pmi di GlobalStrategy – società di consulenza strategica -, che ha individuato nello Stivale ben 483 “imprese eccellenti italiane”, dalle 327 della precedente edizione.
Le quasi 500 imprese eccellenti italiane emergono da un database di quasi 40mila aziende appartenenti ai settori dei servizi e del manifatturiero. Tra queste, la selezione si restringe a quelle che rendono disponibili i bilanci completi degli ultimi 5 anni: una prima scrematura che porta a circa 24mila aziende superstiti.
Ma per diventare imprese eccellenti italiane c’è ancora da superare diverse barriere. Tra le 24mila si selezionano quelle che hanno un fatturato tra i 5 e i 250 milioni di euro, e si arriva a circa 7mila imprese. Tra le quali si selezionano solo quelle non controllate da multinazionali, ossia totalmente made in Italy, e i cui dati finanziari rientrino all’interno di una serie di rigidi parametri.
Ma che cosa hanno di particolare queste imprese eccellenti italiane? Innanzitutto uno sviluppo più che proporzionale di redditività e di solidità patrimoniale, un ebitda più che doppia rispetto al 2009 e performance di crescita superiori rispetto alla media del proprio settore da 2 a 10 volte. Inoltre, le imprese eccellenti italiane hanno ulteriori aspettative di sviluppo in termini di crescita e di margini operativi.
Quello che caratterizza tutte le imprese eccellenti italiane è la forte tendenza all’internazionalizzazione, a conferma del fatto che le imprese che meglio resistono alla crisi sono quelle maggiormente esposte sull’export. La quota di export di queste imprese eccellenti italiane è infatti oltre il 40%: 44,8% per le aziende con più di 50 milioni di fatturato, 40,8% per quelle tra i 20 e i 50 milioni.
Ma dove esportano principalmente queste imprese eccellenti italiane? Soprattutto in Europa (47%), poi Far East, Cina e India (19%) e Nord America (14%), mercati che vengono aggrediti anche con filiali commerciali, siti produttivi o partecipazioni in imprese estere.