È un periodo questo in cui, per il governo, non tira una buona aria. Da una parte, la grana del rimborso della rivalutazione delle pensioni, con quei 500 euro a pensionato che hanno suscitato più polemiche che soddisfazione e che costeranno allo Stato oltre 2 miliardi. Dall’altra il rischio di bocciatura da parte dell’Ue dei nuovi regimi di fatturazione come lo split payment e l’estensione del reverse charge alla grande distribuzione e una spada di Damocle sulla testa dei contribuenti.
Due misure che, per le casse dell’Erario significano maggiori spese o comunque meno entrate e che, automaticamente, per i cittadini contribuenti significano nuove tasse. Secondo una stima elaborata dalla Cgia, infatti, il governo dovrà reperire almeno 16 miliardi di euro per evitare che dal 2016 scatti la clausola di salvaguardia che farà innalzerà le aliquote Iva riducendo le agevolazioni per i contribuenti. Senza dimenticare che nel 2017 la clausola di salvaguardia sarà di circa 25,5 miliardi, che diventeranno 28,2 nel 2018.
Qualora non riuscissimo a sterilizzare queste clausole di salvaguardia, dall’1 gennaio 2016 l’aliquota Iva del 10% aumenterebbe al 12% e dall’1 gennaio 2017 al 13%. L’aliquota ordinaria si alzerebbe di 2 punti (24%) dal 2016, dall’1 gennaio 2017 di un altro punto e dall’1 gennaio 2018 di un altro mezzo punto, arrivando così al 25,5%.
Non sarebbe la prima volta che i contribuenti italiani si trovano a fronteggiare una situazione simile. Nell’ottobre 2013, la mancata “sterilizzazione” delle clausole di salvaguardia fece salire l’aliquota ordinaria dell’Iva dal 21 al 22%, con un aumento del carico fiscale per i contribuenti di 4 miliardi di euro.
Lo ha detto a chiare lettere il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi: “Il Governo ipotizza una ripresa economica superiore a quella prevista nel Def con un conseguente incremento delle entrate fiscali, una contrazione dei tassi di interesse che dovrebbe ridurre il costo del debito pubblico e un rilevante apporto di gettito dal rientro dei capitali illecitamente esportati all’estero. Tuttavia, se queste ipotesi non si dovessero verificare, vi sarebbero effetti negativi su famiglie e imprese”.
“Con l’Ue – ha proseguito Bortolussi – abbiamo preso degli impegni per rispettare i vincoli di bilancio che non sarà facile onorare senza mettere mano nelle tasche dei contribuenti. Il meccanismo che giustifica l’impiego delle clausole di salvaguardia è a dir poco diabolico. Se il governo non sarà grado di chiudere gli enti inutili, di risparmiare sugli acquisti, di tagliare gli sprechi e gli sperperi che si annidano nella nostra Pubblica amministrazione, a pagare il conto ci penseranno i contribuenti italiani che già oggi subiscono un carico fiscale tra i più elevati d’Europa”.