Più o meno tutte le associazioni professionali e quelle di lavoratori a partita Iva sono in rivolta per la riforma del regime dei minimi ma, grazie al fatto di non avere né santi in paradiso né sindacalisti al posto giusto, non possono decidere di abbassare la saracinesca e indire un inutile sciopero generale come fanno gli stratutelati lavoratori dipendenti. E allora?
E allora minacciano “proteste non convenzionali“, qualora non ci fossero cambiamenti al Senato nel testo della legge di stabilità, a partire proprio dal nuovo regime dei minimi. Le parole sono di Acta, Confassociazioni e Alta partecipazione, ovvero le principali organizzazioni di categoria di consulenti, autonomi, free lance e professionisti.
Dopo la delusione alla Camera, dove il cosiddetto emendamento Zanetti che avrebbe rivisto in meglio alcuni aspetti è stato bocciato, Acta, Confassociazioni e Alta partecipazione rivendicano “il blocco dell’aumento dell’aliquota contributiva per le partite Iva iscritte alla gestione separata”, per evitare che siano “spinte fuori dal mercato del lavoro centinaia di migliaia di freelance, professionisti e lavoratori della conoscenza”.
Le associazioni, infatti, sottolineano come il proposito che ha mosso il governo nella riforma del regime dei minimi (ossia ampliare il numero di quanti potrebbero accedervi) rischia di diventare un boomerang: “La somma della revisione dei minimi (che per autonomi e professionisti comporta una stretta sui ricavi e un incremento del prelievo fiscale) e della ennesima crescita dell’aliquota previdenziale – scrivono in un appello online – renderà ancora più insostenibile la vita di autonomi e professionisti. Nel momento in cui si stanziano risorse per dipendenti (80 euro), imprese (irap), artigiani e commercianti (minimi + Inps), è paradossale che il lavoro autonomo e professionale divenga il bancomat dello Stato, spingendo sotto la soglia della povertà intere generazioni di lavoratori indipendenti”.
Se non altro, un ordine del giorno a firma Misiani, Gribaudo, Bonomo e Anna Ascani ha bloccato per il 2015 l’aumento dell’aliquota contributiva per i lavoratori iscritti alla gestione separata INPS, che avrebbe toccato il 33,72% nel 2019. Ma il rischio che nei prossimi anni questa aliquota ancora rimane. Perché dopotutto, per far funzionare il “bancomat dello Stato”, da qualche parte i soldi bisogna metterceli, a partire dal regime dei minimi…