Quando si parla di cementificazione del territorio in Italia, spesso non si un’idea precisa della portata del fenomeno che ha trasformato il nostro Paese in una colata di cemento. A far prendere maggiore coscienza dello scandaloso stato dell’arte ci ha pensato l’Ufficio studi della Cgia, che ha elaborato i dati in materia di cementificazione e sfruttamento del suolo diffusi dll’Ispra, l’Istituto superiore per la Ricerca Ambientale.
Secondo l’analisi della Cgia, nel 2012, ultimo anno per il quale sono disponibili i dati, l’estensione del suolo interessato dalla cementificazione o dall’asfalto è stata pari al 7,3% dell’intera superficie nazionale. Le regioni meno virtuose in tal senso (e più popolate) sono Lombardia e Veneto (entrambe col 10,6%), Campania (9,2%), Lazio (8,8%), Emilia Romagna (8,6%), Puglia e Sicilia (a pari merito con l’8,5%).
Se si parla di aumento percentuale della cementificazione, i dati della Cgia fanno ancora più riflettere. A fronte di una media nazionale del +1,9%, gli aumenti a livello regionale registrati tra il 1989 e il 2012 sono impressionanti: il Veneto ha fatto registrare un incremento doppio, +3,8%, il Lazio +2,9%, la Sicilia +2,6%, le Marche +2,5%, la Lombardia +2,4%.
Considerando che la cementificazione è strettamente legata al dissesto idrogeologico che tanti danni ha creato anche con le recenti alluvioni, la Cgia fa notare che nelle regioni più piccole come Basilicata, Calabria, Umbria, Valle d’Aosta e Molise il 100% dei comuni è a rischio. In riferimento a questa criticità, il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi ha commentato: “Le realtà maggiormente interessate dalla cementificazione sono anche quelle che in questi ultimi anni hanno subìto i danni ambientali più pesanti a seguito di allagamenti, esondazioni, frane e smottamenti, che hanno martoriato i residenti di questi territori. In altre parole, dove si è costruito di più, i dissesti idrogeologici sono stati maggiori”.