Nonostante il Tfr in busta paga sia una possibilità sempre più concreta, il Governo ci punta con forza e potrebbe inserirla già nella prossima legge di stabilità, si allarga il coro di coloro che contianuano ad opporsi al provvedimento: «Basta fare welfare con i soldi delle piccole e medie imprese – è stato il commento di Paolo Galassi, presidente di CONFAPI INDUSTRIA -, secondo i piccoli e medi imprenditori questo progetto rischia di ripercuotersi sull’occupazione. Infatti – a fronte di una paventata ripresa dei consumi, tutta da verificare – viene aggredita una fondamentale fonte finanziaria delle imprese , già sottoposte alla stretta creditizia delle banche. Inoltre così si andrà a impoverire la liquidazione da sempre considerata una polizza per il futuro per i lavoratori e un sostegno previdenziale».
«Abbiamo già subìto i danni provocati dalla finanza creativa – ha concluso Galassi – tanti imprenditori e famiglie sono riuscite a far fronte alla crisi proprio grazie ai risparmi accantonati e alla logica della formica. Pensiamo piuttosto a mettere in atto azioni che diano vita a una ripresa stabile attraverso una politica industriale che si tramuti in sostegno agli investimenti in ricerca e sviluppo, all’internazionalizzazione e all’accesso al credito. Bisogna concentrarsi sulla riduzione degli sprechi, dei privilegi e della burocrazia in modo da consentire una concreta diminuzione delle tasse andando a prelevare soldi laddove non servono a produrre benessere».
Il Tfr in busta paga riscuote però consensi molto limitati anche tra i comuni cittadini: secondo l’ultimo sondaggio del buon Pagnoncelli, solo il 26% dei nostri connazionali (e il 21% dei lavoratori dipendenti) apprezzerebbe l’idea di avere qualche soldo in più mensilmente ad integrazione del proprio salario. Più di due terzi, nonostante il grave periodo di crisi economica, gradirebbe maggiormente lasciare tutto immutato e poter godere della classica liquidazione al termine del rapporto lavorativo. Anche in questo caso ci sono differenze apprezzabili tra privati (il 28% lo vorrebbe in busta paga) e pubblici (19%) ma in entrambi i segmenti di lavoratori la contrarietà alla proposta è netta.
Jacopo MARCHESANO