Il caso della nautica italiana è uno dei più emblematici suicidi industriali. Uno dei settori che per decenni è stato fiore all’occhiello per l’artigianalità e la capacità tecnologica dei nostri cantieri, negli ultimi anni ha subito un progressivo indebolimento, che solo in minima parte si può imputare alla crisi economica mondiale.
I maggiori mercati per la nautica italiana sono infatti al di fuori dell’Europa, tra Stati Uniti, Sud Est Asiatico, Cina, Russia e Medio Oriente, tutte zone in cui i tassi di crescita dell’economia sono sempre stati alti, a dispetto della crisi. Quello che, invece, ha ucciso la nautica italiana, è stato un accanimento politico che, specialmente con i governi tecnici, ha penalizzato il settore punendo i suoi fruitori, con misure folli dal punto di vista fiscale prese contro i possessori di imbarcazioni da diporto.
Un debito, quello della politica nei confronti della nautica italiana, sottolineato nei giorni scorsi dal ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Maurizio Lupi all’apertura del Salone Nautico Internazionale di Genova: “Questo è un settore di cui dobbiamo andare orgogliosi – ha detto Lupi –, il mare è una risorsa, non può essere una negatività. Chi possiede una barca deve essere guardato con orgoglio, non può essere considerato un evasore“, riferendosi ai controlli fiscali compiuti sui possessori di barche negli anni passati.
“La nautica italiana ha sofferto al di là della crisi anche per i nostri errori – ha aggiunto – ma è inutile andare a cercare chi ha sbagliato, dobbiamo ripartire tutti insieme“. Fatto sta che le tasse imposte allo stazionamento delle barche nelle marine, la caccia all’evasore e l’equazione armatore = evasore scatenata dagli ultimi governi hanno fatto fuggire dai porti italiani migliaia di barche, facendo la fortuna delle marine, spesso migliori e più attrezzate, di Paesi vicini come Spagna, Croazia e Francia.
In effetti dal Salone di Genova, una certa voglia di rilancio per la nautica italiana è venuta. L’industria del settore, che ha visto il proprio fatturato crollare di oltre il 60% negli ultimi sei anni, ha risposto alla crisi con 180mila metri quadrati di esposizione, 760 marchi, 1000 barche, 100 novità e una previsione di crescita del fatturato per il 2014 del 5,5%, dopo anni di flessione che hanno portato il fatturato del settore della nautica italiana dai 6,4 miliardi nel 2008 (all’inizio della crisi), ai 2,4 nel 2013.
Parole confortanti sono venute anche dal vice ministro allo sviluppo economico Carlo Calenda: “Alla nautica italiana, tra supporto al Salone e fiere, abbiamo portato quest’anno 1,7-1,8 milioni. Il prossimo anno pensiamo si possa arrivare a 5 milioni, 2 dei quali dedicati al Salone di Genova. Ma ci vuole un progetto fatto dall’industria e per l’industria“. Altro punto dolente della nautica italiana, che sconta il difetto tipico del nostro Paese, ovvero l’incapacità di fare sistema, anche se i misura minore rispetto ad altri settori produttivi.
“Tutti ci stanno aiutando a 360 gradi“, ha confermato il presidente di Confindustria Nautica Massimo Perotti, ricordando fra i provvedimenti varati dal governo la legge sui Marina Resort, che riduce l’Iva applicata a chi sosta nei porti turistici, e il registro telematico che ha permesso la riduzione dei controlli in mare. Proprio su sollecitazione di Perotti, dal vicecapogruppo del Pd alla Camera Paola De Micheli è arrivato l’impegno a rendere stabile il provvedimento sui Marina Resort che termina a fine 2014.
Perotti ha anche ricordato che c’è ancora da lavorare sull’avvio del nuovo codice della nautica italiana e sull’acquisto in leasing delle imbarcazioni “con una interpretazione allargata del disegno di legge che consenta alle banche di chiedere agli acquirenti garanzie accessorie“.
Insomma, se la nautica italiana era colata a picco, oggi più che mai industria e politica la devono portare a galla. Perché torni a navigare come una volta, serve ancora tempo.