Nonostante le imprese femminili rappresentino soltanto un quinto del totale nazionale, il fenomeno dell‘imprenditoria rosa rimane uno dei temi di maggior discussione degli ultimi mesi. Per una breve chiacchierata in merito, oggi abbiamo incontrato Salma Chiosso, giornalista de La Stampa e presidente distrettuale della Fidapa (Federazione Italiana Donne Arti Professioni e Affari), l’associazione appartenente all’International Federation of Business and Professional Women che da anni lotta per il miglioramento della vita, anche lavorativa, delle donne.
Dott.ssa Chiosso, secondo i dati resi noti dall’Osservatorio dell’Imprenditoria femminile di Unioncamere-InfoCamere, le imprese femminili rappresentano solo il 21,4% dell’universo delle imprese operanti in Italia (circa 1,3 milioni su un totale di 6). Come leggere questi dati?
A mio avviso le imprese in rosa sono solo il 21,4 % perché le donne ritengono che il business sia soprattutto un ambito maschile. La Leadership femminile è più cultura e meno affari e quindi meno imprese. Ma quando le donne in questo campo sono attive le aziende difficilmente chiudono perché le scelte sono più ponderate e c’è più propensione a innovare. C’è un dato particolare che conferma questa tendenza: ci sono molti suicidi di imprenditori ma pochi di imprenditrici. E ciò significa più capacità di reagire e interagire con la realtà.
Tuttavia, le nuove imprese a guida femminile nascono a un ritmo superiore alla media: +0,73%. La creatività e l’intraprendenza “rosa” possono essere tra gli ingredienti principali della ripresa economica?
Certamente sì: la creatività è insita nell’animo femminile. Le donne danno la vita è nel loro dna creare. Poi le donne sanno adattarsi e inventarsi la vita, anche quella lavorativa con ciò che hanno anche questo è tipicamente femminile.
Quali sono le difficoltà che una donna dove “mettere in conto” prima di aprire un’attività propria?
La prima difficoltà è l’accesso al credito. Le banche non credono molto nel business delle donne. Preferiscono fare credito agli uomini. La seconda difficoltà è la mancanza di strutture adeguate ( asili ad esempio ma anche assistenza domiciliare per bimbi e anziani di cui sempre più spesso le donne devono prendersi cura ) che permettano alle donne di dedicarsi serenamente lla carriera e questo è valido per tutti i campi non solo quello imprenditoriale.
In Italia siamo molto indietro rispetto all’Europa e al resto del mondo, è solo una questione culturale?
La cultura non ha sesso. In Italia stiamo assistendo ad un globale imbarbarimento del lessico e della cultura. Siamo indietro su tutto: basta guardare alle sanzioni e ai richiami della Corte europea, i soldi che vengono gettati via perché non ottemperiamo alle direttive. A fronte di questo quadro l’imprenditoria femminile viene fortemente penalizzata.
Donna, spesso moglie e madre, e imprenditrice di successo. Quant’è difficile riuscire a conciliare tutto?
Con una buona dose di fortuna, una stupefacente preparazione, un buon reddito di partenza, no. Rispetto agli uomini le imprenditrici di successo hanno una carta in più: sanno che non è tanto la quantità ma la qualità del tempo che si dedica al lavoro quello che conta. Mi spiego meglio: non è lavorando 12 ore al giorno che una donna diventa “brava” e fa carriera. Ne bastano 5 ma di sostanza. E ancora più prezioso e di qualità deve essere il tempo che si dedica ai figli. Meglio una mamma manager o comunque di successo, gratificata e serena anche se con poco tempo che una mamma sempre presente e stanca.
Jacopo MARCHESANO