Dopo aver ascoltato ieri Salma Chiosso, giornalista de La Stampa e presidente distrettuale della Fidapa, per continuare ad occuparci di imprenditoria femminile oggi abbiamo incontrato Patrizia Bernardini, responsabile del servizio Nuova Impresa di Vicenza e coordinatrice del Programma Regionale per la Promozione dell’Imprenditoria Giovanile e Femminile in Veneto.
Dott.ssa Bernardini, secondo i dati resi noti dall’Osservatorio dell’Imprenditoria femminile di Unioncamere-InfoCamere, le imprese femminili rappresentano solo il 21,4% dell’universo delle imprese operanti in Italia (circa 1,3 milioni su un totale di 6). Come leggere questi dati?
Questa percentuale non elevata di donne imprenditrici rispecchia la bassa partecipazione delle donne al mondo del lavoro in Italia, percentuale inferiore rispetto agli altri paesi europei (una media di 12 punti in percentuale sotto media UE). Sebbene le linee guida europee della politica occupazionale (proposte prima dal Vertice di Lisbona e poi nel documento Europa 2020) continuino a considerare la partecipazione femminile nel mercato del lavoro come uno degli obiettivi prioritari, grazie anche ad un maggior utilizzo di politiche di conciliazione, i passi fatti dall’Italia sono stati molto lenti.
In Italia un elemento che condiziona notevolmente l’occupazione femminile (dipendente e autonoma) è la presenza ed il numero dei figli. Così i tassi di occupazione sono inversamente proporzionali al numero di figli e le donne con figli piccoli hanno una probabilità di lavorare inferiore del 30% rispetto alle donne senza figli.
Tuttavia, le nuove imprese a guida femminile nascono a un ritmo superiore alla media: +0,73%. La creatività e l’intraprendenza “rosa” possono essere tra gli ingredienti principali della ripresa economica?
Cresce l’occupazione femminile, e crescono anche le imprese femminili. Le motivazioni alla creazione d’impresa sono diverse: talvolta è la ricerca di un reddito e di auto-occupazione, come soluzione al problema della disoccupazione. Altre volte è proprio la ricerca di una maggiore flessibilità di tempo e di una migliore possibilità di conciliare lavoro e famiglia che spinge le donne a creare una propria attività autonoma. Sempre più spesso è la volontà di mettere in gioco le proprie competenze e abilità personali, soprattutto in termini di relazioni umane e di creatività, così molte donne aprono nel settore terziario. Come indica il rapporto di Unioncamere il 70,5% delle imprese di donne si concentra nei settori dei servizi alla persona, della sanità, dell’istruzione, dell’agricoltura, del commercio e turismo, dell’intrattenimento.
Alcune indagini (ad esempio “Straordinarie imprenditrici comuni” realizzata in Veneto nel 2009) evidenziano che le imprese di donne sono state in grado di rispondere meglio alla crisi economica. Così le piccole dimensioni dell’impresa, la bassa propensione al rischio, il lavorare nel settore terziario, spesso considerate dei limiti delle imprese femminili, hanno consentito di rimanere sul mercato.
In Italia siamo molto indietro rispetto all’Europa e al resto del mondo, è solo una questione culturale?
Si principalmente culturale, che si snoda su queste questioni non risolte:
– la scarsa condivisione del lavoro di cura tra uomo e donna;
– la limitata presenza di servizi di cura, sia per i piccolissimi che per gli anziani non autosufficienti e il costo elevato di questi servizi;
– un’organizzazione del lavoro poco incline a favorire la conciliazione vita e lavoro; si potrebbe modificare il modello attraverso una maggiore flessibilità degli orari, un ampliamento dell’utilizzo del part time etc..
Donna, spesso moglie e madre, e imprenditrice di successo. Quant’è difficile riuscire a conciliare tutto?
Le donne vogliono studiare e lavorare senza rinunciare alla maternità. La conciliazione tra tempi di vita e di lavoro é difficile anche per le imprenditrici, soprattutto per quelle autonome, per le quali pesa anche la difficile sostituibilità della loro presenza, in caso di maternità.
E’ pur vero che talvolta l’attività imprenditoriale è vissuta essa stessa come un tempo di vita, che grazie ad una maggiore flessibilità rispetto al lavoro dipendente riesce ad attivare modalità nuove di gestione del lavoro di cura e lavoro in azienda. Un tempo conciliato grazie alla capacità delle imprenditrici di trattare la complessità del lavoro, aggiornando continuamente le priorità, e sviluppando molta creatività.
Questo continuo mettersi in gioco e lavoro sulle relazioni fa emergere un “modo femminile di fare impresa”, attento alle persone, ai legami sociali, all’ambiente e alla sostenibilità. E molte imprenditrici operano proprio su questi settori. Imprese di donne in grado di affrontare la difficile congiuntura economica opponendo creatività, flessibilità, reattività, empatia, sensibilità al sociale e all’ambiente.
Jacopo MARCHESANO